03 maggio 2009

A proposito della situazione del Caucaso (XI)

Meqab*

Perché la Russia sta perdendo il Daghestan. Sui wahhabiti [2] che impongono imposte alle attività economiche, sul dovere di sparare delle amministrazioni locali, sulla caccia agli sbirri, sugli imam e le persone autorevoli, sulle particolarità della giustizia montanara e le operazioni speciali insensate, sui diritti dei terroristi e sulle sbruffonate, i diari daghestani di Julija Latynina [3]

Nel 1999 Šamil' Basaev e Khattab [4] irruppero nel Daghestan. In quel momento la Cecenia era sull'orlo della guerra civile tra i wahhabiti e i sostenitori di Maschadov e a Basaev parve più ragionevole fare una guerra fuori dai confini della Cecenia che al suo interno. Una guerra nel corso della quale Maschadov sarebbe rimasto presidente della Cecenia e Šamil'sarebbe diventato imam di tutte le Cecenie [5] e del Daghestan.
“A quel tempo andava e diceva che per la Russia era la fine , – mi ha detto un amico di uno dei più fedeli alleati àvari di Basaev [6], fondatore del totalmente terroristico jama'at [7] “Šariat” [8] Rasul Makašaripov, – perse la testa per la loro jihad”.
Tuttavia le idee di Basaev sull'appoggio che avrebbero potuto dargli i daghestani si rivelarono molto esagerate. L'invasione fallì: in parte perché gli alleati locali di Basaev non ebbero ruoli di primo piano (Nadyr Chačilaev per il rifiuto di combattere fu condannato a morte da Basaev), in parte perché gli orgogliosi ceceni non pensavano neanche di mettersi d'accordo con i non meno orgogliosi àvari (“Non proposero neanche un accordo” – con un certo tono offeso dichiaro a me il sindaco di Chasavjurt [9] Sajgidpaša Umachanov – “dissero semplicemente “vattene”), ma soprattutto perché Basaev sopravvalutò il grado di influenza in Daghestan del wahhabismo – il “puro” islam, che guarda con disprezzo alle usanze locali e che chiama i tradizionali nastri sulle tombe degli sheykh [10] kufr [11] e “paganesimo”.
L'invasione fallì. L'arma che aveva sparato nei regolamenti di conti per le strade fu rivolta contro i ceceni. Le donne sui monti nutrivano i soldati russi (a cui, come sempre, avevano dato cibo scaduto) e gli uomini dicevano ai soldati: tu siediti e mangia e io per ora prendo il tuo fucile automatico e sparo. I daghestani ricordano con piacere come superavano i BTR [12] russi, correndo a combattere coi fuoristrada e i combattenti che sedevano in questi BTR ricordano come le donne musulmane li benedicevano al loro passaggio.
– Questo era insolito per noi, – mi ha detto con reverente stupore un ufficiale di un reparto d'elite che era passato per l'inferno della Cecenia.
Il sindaco di Chasavjurt Sajgidpaša Umachanov bloccò la strada con i suoi reparti prima a Basaev, poi allo stesso capo del Daghestan Magomaedali Magomedov, quando questi decise di andare a trattare con Maschadov. Basaev non poteva combattere contro il popolo che era giunto a liberare dal giogo degli infedeli e l'invasione si trasformò in una serie di insensati spostamenti in qua e in là.
Dopo il 1999 parve che il “puro” islam in Daghestan fosse destinato al ruolo di corrente marginale, che esisteva in villaggi isolati come quello di Gimry [13] o in cellule isolate come il già ricordato jama'at “Šariat”, capaci sì e no di fare saltare in aria degli sbirri o di fare i killer a prezzi stracciati.
Negli ultimi due anni di governo del presidente Aliev la Russia si è ingegnata di fare l'impossibile: stiamo perdendo il Daghestan. La repubblica che dieci anni fa aveva combattuto a fianco della Russia contro i wahhabiti si è trasformata in un luogo in cui i wahhabiti impongono apertamente imposte sulle attività economiche e gli organi [14] invece di lottare con essi si sono impantanati in intrighi, racket e raggiri. L'esperienza della Somalia, del Pakistan e dell'Afghanistan testimonia: dopo che questa malattia ha superato una determinata soglia è incurabile.
Per i diritti dei terroristi
Siedo in un vagoncino coperto di foto di persone scomparse senza lasciare traccia e di cartelli con maledizioni agli sbirri. Davanti a me ci sono due dirigenti del movimento “Madri del Daghestan per i diritti umani” Gul'nara Rustamova e Svetlana Isaeva.
Gul'nara è una donna triste, coperta da capo a piedi, sui sessant'anni e con tono usuale e piatto mi racconta degli abusi degli sbirri e delle insopportabili persecuzioni che si sono abbattuti su suo fratello Vadim Butdaev. Gul'nara racconta che nel gennaio 2005 gli agenti operativi avevano fatto irruzione nella loro casetta microscopica, avevano nascosto una granata addosso a Vadim e avevano rubato 20.000 dollari. Ben presto avevano chiamato anche Gul'nara alla polizia e avevano agitato davanti a lei delle copie di foto.
– Era morto qualcuno e abbiamo porto le condoglianze, – dice Gul'nara.
– Ma chi? – preciso.
– Non ricordo, – dice Gul'nara.
Alla fine si è chiarito che era morto Rasul Makašaripov: il leader del jama'at “Šariat”, che aveva fatto saltare in aria tanti sbirri quanti i polli al bazar [15]. E a suo cognato Vadim Butdaev gli sbirri dovevano fare domande sulle telefonate fatte da Vadim dopo la morte di costui chissà perché dal telefono della sorella.
Per la granata il vile regime dette al cognato di Makašaripov addirittura sei mesi.
– Al processo il giudice disse che con i wahhabiti bisogna agire come fanno gli ebrei, – dice Gul'nara Rustamova.
– E come fanno gli ebrei? – preciso.
– Davvero non lo sa? Eliminano i palestinesi a famiglie intere.
Dopo aver scontato sei mesi, Vadim andò a lavorare in un calzaturificio. Lavorava molto scrupolosamente, dalla mattina alla sera, ma il poliziotto Arsen Zakar'jaev ogni volta andava da ogni nuovo assunto e Vadim fu cacciato. Alla fine Vadim si mise a lavorare a casa.
– Ed ecco che una volta entra in una stanza e vede che due bimbe piccole fanno girare un ordigno sopra una candela. Le salvò e le allontanò dalla candela – e l'ordigno gli esplose in mano, – dice Gul'nara.
Qui bisogna precisare che in uno dei filmini a scopo istruttivo su come far saltare in aria gli sbirri con l'aiuto di un secchio di esplosivo (prodotto del jama'at “Šariat”) e su come fare di una siringa un detonatore lo stesso Vadim Butdaev mostra la propria mano mutilata e dice, beh, state più attenti.
Sul coraggio e sulle sbruffonate
Vadim Butdaev era una persona molto coraggiosa. Dopo che gli era esploso un detonatore in mano, ebbe abbastanza forza di volontà per fuggire di casa. Fuggì per andare da un uomo di nome Mamed Kurbanov e questi invitò per un'operazione il chirurgo Achmed Gasanov. L'operazione era così complessa che c'era bisogno di un secondo medico.
Vadim Butdaev era anche una persona vanagloriosa. Adorava farsi riprendere in filmati pubblicitari su come fare la jihad e da sua sorella Dinara (vedova di Makašaripov) sono stati scattati mucchi di fotografie pubblictarie della serie “Ti sei iscritto tra i wahhabiti?” con il sorridente, pulitino Vadim che alza una PSM [16] sullo sfondo delle montagne o con la tuta mimetica ben indossata mentre si si dirige da qualche parte con un'arma automatica con silenziatore.
Perciò il primo omicidio compiuto da Vadim Butdaev compì dopo la guarigione fu organizzato in modo da avere il massimo effetto a livello di pubbliche relazioni. Vadim Butdaev uccise il proprio vicino Arsen Zakar'jaev e si dette da fare perché il nome dell'omicida fosse conosciuto.
– Arsen era da me quella sera e si lamentò del fatto che lo seguissero, – dice uno dei suoi colleghi. – Io gli dissi di prendere la moglie e il cuscino e andare in un altro appartamento. Mi svegliai al mattino e lo avevano già ucciso.
La mattina del 2 settembre 2008 Vadim Butdaev e un altro militante, Šamil Gasanov, uscirono dal bosco e presero un taxi. Poiché il tassista non era uno sbirro e neanche un infedele, non lo uccissero, ma lo legarono e lo misero sul sedile posteriore. E andarono a casa di Arsen, che a quell'ora portava sempre i bambini all'asilo.
Arsen saltò fuori dalla macchina e fu ucciso a colpi d'arma da fuoco sul posto. “Fai sapere che questo l'ha fatto Vadim Bespalyj [17]”, – fece Butdaev al tassista.
Butdaev nascose l'arma automatica con cui sparò a Zakar'jaev non lontano dal luogo dell'omicidio. Il fatto è che i killer gettano vi a l'arma, ma i wahhabiti la tengono con se – in primo luogo, l'arma è un aggeggio che costa caro, in secondo luogo, se ti prendono, conviene fare fuoco in risposta. Ma lì vicino c'erano posti di blocco e Vadim aveva paura a portare l'arma con se e gettare via questa cosa utile per la casa gli dispiaceva. Perciò Butdaev nascose l'arma automatica e due giorni dopo tornò a prenderla.
Nel frattempo avevano trovato l'arma automatica e prepararono una trappola nelle vicinanze. Vadim, ferito, fuggì. Achmed Gamzatov gli estrasse di nuovo una pallottola dalla gamba e stavolta l'operazione fu ripresa in un video – come ho già detto Butdaev amava farsi riprendere in tutti i filmati pubblicitari sulla preparazione di bombe o sull'estrazione di pallotole sul campo.
L'uccisione di Butdaev fu annunciata molte volte e alla fine lo uccisero il 18 novembre 2008 in via Kerimov. Aveva rifiutato di arrendersi. Insieme a lui fu ucciso Magomed Salichov, in precedenza assolto da una giuria: l'accusavano di aver fatto saltare in aria una casa a Kaspijsk [18].
Mentre portavano Arsen Zakar'jaev alla sepoltura, il fratello di Butdaev Ismail era per la strada e sghignazzava. Quando Butdaev fu ucciso, il fratello di Zakar'jaev Murad telefonò alla sorella di costui Dinara e disse: “Tu sei la prossima”.
– Ma perché perseguitavano suo fratello? – chiedo a Gul'nara.
– Egli pregava, semplicemente.
Forse il Profeta ha prescritto di pregare con una Stečkin [19] in mano?
L'ingiustizia
Il 12 novembre 2008 in Daghestan fu ucciso il capo dell'amministrazione del distretto Čarodinskij [20] Murtuz Kuramagomedov. Questi e la sua famiglia furono uccisi a colpi d'arma da fuoco su una strada di montagna. Non si trattava affatto di wahhabiti. Tra i killer arrestati c'era un parente dell'ex ministro del ŽKCh [21]. Il fratello del ministro dice che Murtuz era diventato altezzoso al punto di non riceverli quando giungevano nella provincia. Un motivo grave, non trovate?
E un mese fa al figlio del capo dell'amministrazione del distretto Šamil'skij non dette strada un cugino di secondo grado. Il cugino fu tirato fuori dalla macchina e colpito con delle mazze e poi passarono alcune volte su di lui con la macchina. Nella sua macchina c'erano i figli di dieci e quattordici anni. I ragazzi si dettero alla fuga. Il quattordicenne riuscì a nascondere il più piccolo e corse via.
Siedo con un vecchio conoscente. Un uomo vecchio e saggio.
– Dicono: “Ingiustizia”. Dicono: “Meqab”. Gli dico: “Morirete” ed essi: “Ma cosa c'è di meglio della morte sulla via di Allah”?
– Nel mio tinello due ragazzi hanno montato un fornello elettrico. Ragazzi molto ammodo. Hanno lavorato molto bene. Passa qualche anno e incontro uno di loro al mercato. Chiedo come sta e come sta il suo amico. “Tu e io stiamo male, – risponde, – ma lui sta bene. E' in paradiso”. E se n'è andato sorridendo.
Dicono: “Tutto questo perché ci governano gli infedeli”. Dicono: “La jihad è l'unico vero modo di andare in paradiso”. Dicono: “Oggi abbiamo bisogno di spade, non di moschee [22]”. Ma quando governeranno quelli che hanno imparato a sparare alla nuca agli sbirri andrà meglio?
Sulle conoscenze in prigione
Svetlana Isaeva è il capo delle “Madri del Daghestan per i diritti umani”. Come dire, una bella facciata. In primo luogo, è russa, in secondo luogo, è senza velo. Suo figlio Isa non è morto con un arma in pugno. E' semplicemente scomparso senza lasciare traccia: è uscito di casa in pantofole e non è tornato, è finito in una delle prigioni segrete dello FSB [23] dalle parte di Bujnaksk [24] o di Chasavjurt.
– Ma quali accuse facevano a suo figlio? – chiedo.
– Mio figlio in prigione aveva fatto conoscenza con Chizri Mammaev. Ecco tutto.
– Suo figlio era in prigione? Per cosa?
– Mio figlio è stato calunniata da qualche sgualdrina, – risponde con ferrea convinzione materna il capo delle “Madri del Daghestan”. – Gli sbirri l'hanno convinta a testimoniare per strapparci dei soldi. Mio figlio ha avuto 5 anni con la condizionale, questo ci è costato 11.000 dollari.

(Segue)

* Ingiustizia (àvaro [1]).

Julija Latynina
osservatore della "Novaja gazeta"

20.04.2009, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2009/041/18.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)


[1] Gli Àvari sono l'etnia maggioritaria del Daghestan.

[2] Per wahhabiti in Russia si intendono gli estremisti islamici in generale.

[3] Julija Leonidovna Latynina, scrittrice e giornalista.

[4] Nome di battaglia del saudita (ma ritenuto a lungo giordano) Samir Saleh Abdullah Al-Suwailem, che combattè a fianco dei guerriglieri ceceni prima di essere ucciso dai russi.

[5] L'autrice usa la forma arcaica vseja Čečni invece di vsej Čečni, parodiando quella del titolo del Patriarca vseja Rusi, “di tutte le Russie” (in realtà non è un plurale, ma il genitivo di Rus', nome del regno degli zar che precedettero Pietro il Grande – la chiesa ortodossa di fatto considera ancora Russia – o “Grande Russia”, Bielorussia – o “Russia Bianca” e Ucraina – o “Piccola Russia” regioni di un unico territorio russo).

[6] Basaev, secondo alcune fonti, era àvaro per parte di madre (vero o no che fosse, difficlmente lo avrebbe ammesso, vista la storica ostilità tra ceceni e àvari).

[7] Comunità islamica.

[8] Russificazione di shari'a, la legge islamica.

[9] Villaggio del Daghestan orientale, noto perché nel 1996 vi fu firmato l'armistizio che pose fine alla “prima guerra cecena”.

[10] Gli “anziani”, cioè i capi delle comunità.

[11] Termine arabo per “miscredenza”, letteralmente “nascondimento” (della verità).

[12] Mezzi di trasporto blindati a ruote.

[13] Villaggio del Daghestan centrale.

[14] Gli organi del ministero degli Interni, cioè la polizia e soprattutto i servizi segreti.

[15] Espressione cinica, ma piuttosto usata in questi casi.

[16] Pistolet Samozarjadnyj Malogabaritnyj (Pistola Automatica di Piccolo Formato).

[17] “Senza dita”.

[18] Città sul Mar Caspio.

[19] Tipo di pistola russo.

[20] Nel Daghestan meridionale.

[21] Žiliščno-Kommunal'noe Chozjajstvo (Settore delle Abitazioni e dei Servizi).

[22] Gioco di parole tra meči, “spade” e mečeti, “moschee”.

[23] Federal'naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio
segreto russo.

[24] Città del Daghestan centrale.

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