11 dicembre 2008

A proposito di Russia e Georgia (V)

Il nodo del Caucaso: non tagliare, ma sparare a volontà [1]

Una nuova guerra, a quanto pare, è l’unica via d’uscita per la Russia, se vuole conservare le conquiste dell’agosto 2008

Durante la guerra in agosto tutte le parti in causa, come è d’uso, al posto dei fatti rilasciavano informazioni non verificate o consapevolmente false e conducevano una propaganda senza ritegno. Da allora le autorità ufficiali russe non hanno arretrato di un passo dall’iniziale piano informativo, ripetendo fandonie insensate. Per esempio, la nostra Marina Militare ha dichiarato che il 10 agosto ha respinto l’attacco delle navi georgiane e ne ha affondata una e la nostra TV ha mostrato un’animazione in proposito. In Georgia questa storia suscita perplessità: non c’è stata, a quanto pare, alcuna battaglia navale. Quella parte di navi che era in servizio, all’inizio della guerra è partita da Poti [2] per Batumi [3] e le altre sono state prese e distrutte dalle nostre truppe. Le attuali autorità russe, come in precedenza quelle sovietiche, non vedono alcuna necessità di confrontare la propria posizione pubblica con la realtà e correggerla in qualche modo, anche se vengono beccate a dire evidenti menzogne.

In Georgia la situazione è diversa, la società è più libera della nostra e inoltre il paese dipende economicamente e politicamente dalla buona disposizione delle democrazie occidentali. A Tbilisi lavora una commissione parlamentare d’indagine sulla guerra, davanti a cui è intervenuta tutta la leadership locale, compreso il presidente Mikhail Saakashvili. Di conseguenza le autorità, seppur non subito e non certo di buona voglia, sono state costrette a presentare una versione più logica degli avvenimenti di agosto.

E’ chiaro che tutte le parti in causa si preparavano a un conflitto, ma in modo diverso. I nostri preparavano una guerra su larga scala. Poiché la Georgia è divisa dalla Russia dalla catena montuosa del Caucaso, l’incursione avrebbe potuto avvenire solo d’estate e da due direzioni isolate: dallo stretto tunnel di Roki in Ossezia del Sud e dalla strada costiera in Abcasia tramite il passaggio più lontano ai punti chiave strategici all’interno del paese. Una così seria limitazione delle possibilità di manovra tattica e strategica richiedeva un piano accuratamente bilanciato ed elaborato.

Nel quadro delle esercitazioni “Caucaso-2008” i reparti speciali per l’incursione furono disposti ai confini con la Georgia a luglio, ma alcuni, secondo le testimonianze di partecipanti agli eventi, erano entrati precedentemente in Ossezia del Sud e in Abcasia. Le navi della flotta del Mar Nero erano pronte ad andare immediatamente in battaglia in mare, la fanteria della flotta del Mar Nero era stati spostati dalla Crimea sulla costa caucasica e caricata con l’armamentario sulle apposite imbarcazioni. Anziani ed esperti istruttori di volo ancora di scuola sovietica, di cui oggi nel nostro paese ne è rimasta qualche decina, furono spostati nel Caucaso settentrionale con l’attrezzatura pronta per il combattimento. Tra l’altro la preparazione di un’incursione di grande portata, a cui hanno preso parte direttamente più di 40000 soldati russi, fu portata avanti con una segretezza stupefacente e bisogna complimentarsi con i nostri militari e con i servizi segreti per un’operazione di copertura brillantemente compiuta.

Le particolarità del teatro delle operazioni di guerra non permettevano di concentrare immediatamente alla frontiera le forze necessarie per un’incursione efficace. Fu stilato e attuato in modo sufficientemente preciso uno schema di ingresso contemporaneo di forze e mezzi in Ossezia del Sud, dove erano in corso i combattimenti e in Abcasia, dove non c’era alcuna azione in corso. In agosto le formazioni militari furono poste in stato di massima allerta. L’11 agosto sul territorio della Georgia operavano fino a 30000 soldati russi e migliaia di pezzi di armamento pesante, cosa che in quelle circostanze va ritenuta un notevole risultato.

Poco prima dell’inizio delle operazioni militari nella sede della Direzione operativa principale dello Stato Maggiore in piazza Arbatskaja era cominciata la ristrutturazione e la GOU GŠ [4] era stata spostata nella sede dell’ex policlinico, dove non c’erano sistemi di sicurezza. Ma la GOU GŠ pianifica le operazioni e non le comanda direttamente. A Vladikavkaz [5] fu allestito un quartier generale operativo speciale per coordinare l’incursione, con a capo il comandante supremo delle forze di terra Vladimir Boldyrëv. Poiché già da tre giorni le forze georgiane si sottraevano agli scontri armati, non fu necessario introdurre correzioni sostanziali al piano elaborato in precedenza e forse non tutte le forze allertate furono introdotte in Georgia.

Le autorità georgiane adesso riconoscono apertamente che per una guerra del genere con la Russia non erano affatto pronti. La Georgia si preparava a sconfiggere le forze dei separatisti affrontandole a viso aperto e in effetti l’8 agosto le formazioni ossete erano state sbaragliate. L’intervento della Russia era certamente previsto, ma come qualcosa di simile a quanto visto durante le guerre in Abcasia e in Ossezia del Sud all’inizio degli anni ‘90 – con forze limitate e sotto copertura – con l’aspetto di volontari del Caucaso settentrionale, di “cosacchi”, di singoli colpi di “aerei non identificati”, ecc. L’intelligence georgiana che opera all’estero, secondo il suo capo Gela Bezhuashvili, non prevedeva una guerra in agosto. Secondo Bezhuashvili i militari americani e le fonti diplomatiche, ma anche il segretario del consiglio di sicurezza georgiano Aleksandr Lomaya affermavano di non vedere alcun segno di una reale preparazione russa a una guerra su larga scala. I nostri sono riusciti a farla ai georgiani e agli americani.

Negli ultimi anni tutti gli sforzi dei servizi segreti americani erano stati diretti all’Iraq, all’Afghanistan e all’Iran e alla lotta al terrorismo islamico. Non consideravano la Russia una minaccia immediata e i satelliti spia americani guardavano soprattutto da un’altra parte – al “grande” Medio Oriente. Inoltre i satelliti non possono determinare il grado di prontezza dei reparti e delle formazioni in vista di un inizio immediato di operazioni di guerra su larga scala. E’ molto importante notare che a dicembre dello scorso anno la Russia è uscita dal Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (DOVSE [6]) con il pretesto che i paesi della NATO non lo rispettano. Sono state bloccate le ispezioni sul campo nell’ambito del DOVSE, che irritavano maggiormente i nostri generali proprio perché permettevano agli stranieri di valutare il grado di prontezza a combattere di reparti e formazioni. Senza l’uscita della Russia dal DOVSE un’efficace incursione in Georgia sarebbe stata in dubbio. Bisogna pensare che già nel 2007 la futura operazione contro la Georgia era stata del tutto elaborata e, forse, era diventata la causa principale della poco spiegabile uscita dal DOVSE. Le grandi esercitazioni “Caucaso” e “Confine del Caucaso”, durante le quali si elaborava la futura guerra, vengono portate avanti dall’estate del 2006.

Se da parte dei russi fu elaborato dettagliatamente un piano di operazioni che comprendeva diverse forze dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica Militare e delle truppe aviotrasportate, da parte dei georgiani ci fu un disordine improvvisato nel peggior senso dell’espressione. Il ministro della Difesa georgiano David Kezerashvili adesso dice che se avessero saputo cosa preparava la Russia, si sarebbero preparati in modo del tutto diverso: avrebbero costruito linee di difesa, rifugi e nascondigli. Quando nella notte del 12 agosto l’esercito georgiano e i reparti speciali del ministero degli Interni si mossero verso Tbilisi, non era pronto alcun piano per la difesa della città e non c’erano postazioni armate. I militari georgiani non erano pronti a una guerra con l’uso di mine e non tentarono neanche di fermare le colonne di carri armati russi ponendo barriere di mine. Se avessimo saputo, dice Kezerashvili, avremmo richiamato anticipatamente 2000 soldati georgiani dall’Iraq, ecc.

I militari georgiani affermano che verso l’inizio del conflitto presso l’ingresso meridionale del tunnel di Roki si nascondeva un loro osservatore, che trasmetteva all’artiglieria precise coordinate GPS dell’armamentario russo che procedeva verso sud e che non c’era altra possibilità di colpire nel segno. Perché, dice, per garantire lo spostamento verso il villaggio di Kkheti, verso il villaggio dell’enclave georgiana a nord di Tskhinvali più vicino al tunnel di Roki degli obici corretti con il GPS e dei sistemi di lancio di bombe a grappolo GRAD LAR [7], è iniziata un’operazione nella città stessa e nei villaggi circostanti. Il fuoco georgiano sulle truppe in arrivo era, pare, abbastanza preciso e i nostri militari hanno notato in particolare la grande efficacia dell’artiglieria georgiana. Ma non riuscirono a fermare né a trattenere a lungo l’avanzata russa e agli occhi dell’Occidente Tbilisi risultò colpevole insieme a Mosca di aver dato il via alla guerra.

Ad agosto Mosca si accordò per il cessate il fuoco per timore di una seria reazione occidentale e anche per la crisi nell’equipaggiare le truppe facendo centinaia di chilometri di strade di montagna da Vladikavkaz e da Beslan e passando per la stessa imboccatura del tunnel di Roki. Si richiedeva una pausa operativa per sistemare le retrovie e soprattutto si riteneva che fosse già stato inferto un colpo mortale al regime di Tbilisi. Dmitirij Medvedev chiamò Saakashvili “cadavere politico”. Molti a Mosca sono ancora convinti che Saakashvili se ne andrà presto, che l’opposizione lo abbatterà, che “gli americani stessi lo toglieranno di mezzo”, ma questi non sono nulla più che sogni. L’opposizione georgiana è divisa, i suoi leader non sono particolarmente popolari e litigano continuamente. Per molti onesti, patriottici georgiani, per nulla sostenitori di Saakashvili, l’operato dell’opposizione oggi è al limite dell’alto tradimento. Saakashvili si sente del tutto sicuro e durante l’intervento presso la commissione parlamentare si è perfino permesso di smentire le voci secondo cui una volta avrebbe chiamato il premier russo con una parola offensiva. Il regime si è rafforzato, le forze si sono consolidate, la Georgia riceve consistenti aiuti occidentali e adesso si prepara a tutta un’altra possibile futura guerra con la Russia.

Si costruiscono linee difensive, nascondigli e postazioni armate, si preparano barricate. Il trattato di Ottawa, che proibisce l’utilizzo di mine antiuomo, ha bloccato praticamente del tutto il mercato delle mine, ma i georgiani forse riusciranno a ottenere qualcosa o ad avviarne la produzione in proprio. La mina antiuomo non è un meccanismo terribilmente complesso, ma senza di essa i campi minati anticarro non hanno senso. I militari georgiani dicono pure che possono servirsi dell’esperienza dell’Iraq, dove i militanti islamisti hanno avviato la produzione di mine telecomandate ad alta efficacia da disporre lungo le strade per distruggere l’armamentario e le forze vive.

Oggi sulla linea del cessate il fuoco dopo il ritiro delle truppe russe dalle zone di sicurezza intorno all’Ossezia del Sud e all’Abcasia ci sono continue provocazioni e sparatorie, di cui entrambe le parti in causa si accusano a vicenda, che alla fine potrebbero svilupparsi fino a diventare azioni militari su larga scala. Il capo della missione dell’UE per il monitoraggio in Georgia Hansjörg Haber qualche giorno fa ha dichiarato che “la situazione lungo la frontiera amministrativa è impronosticabile, si verificano di nuovo incidenti”. L’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani Amnesty International afferma che decine di migliaia di sfollati non possono tornare nelle proprie case perché nella “zona di penombra” lungo il confine con l’Ossezia del Sud proseguono esplosioni, sparatorie e anche casi di sciacallaggio e di sequestri di persona. Nel villaggio georgiano di Ergneti ad alcune centinaia di metri dalla periferia di Tskhinvali alcuni abitanti che sono tornati ricostruiscono le proprie abitazioni, un’organizzazione umanitaria tedesca distribuisce set di pentole in acciaio, ma la maggior parte delle case finora resta bruciata e depredata dagli sciacalli osseti.

L’Ossezia del Sud anche oggi è essenzialmente un deserto, in essa a causa della guerra e delle pulizie etniche sono rimasti meno di 30000 residenti – qualcosa come un quarto della popolazione di epoca sovietica e di prima della guerra. Geograficamente ed economicamente l’Ossezia del Sud fa parte della Georgia. In essa non potrà esserci alcuna economia funzionante finché il confine con la Georgia sarà chiuso e vi saranno sparatorie, come ora. In Abcasia ora la popolazione è di circa 140000 persone – un terzo di prima della guerra e di queste gli abcasi in senso proprio sono poco più di 40000. In Abcasia è possibile uno sviluppo dell’economia, in particolare del turismo, ma tutta l’infrastruttura sovietica è completamente allo sfascio. Per risollevare l’Abcasia, per conservare l’Ossezia del Sud, per creare là basi militari e guarnigioni russe sono necessarie decine di miliardi di dollari, che nel budget russo in conseguenza della crisi potrebbero semplicemente non esserci. E se anche si trovassero, di certo le autorità locali ne sperpererebbero comunque la maggior parte.

In Ossezia bisogna costruire un raddoppio del tunnel di Roki attraverso la gola di Mamison [8] e un passo, in quanto contare su una sola, estremamente fragile linea di rifornimento è troppo pericoloso. Bisogna costruire rapidamente decine di chilometri di tunnel antivalanghe nella gola a nord del tunnel di Roki, altrimenti l’unica strada sarà praticamente chiusa per tre mesi l’anno, in inverno. Nel frattempo la Georgia ha dato il via ad un programma di sostanziale ampliamento dell’esercito regolare. L’anno prossimo potrebbero iniziare esercitazioni della durata di molti mesi di riservisti georgiani per riuscire a creare con questi dei reparti stabili – essenzialmente, una parziale mobilitazione preventiva. Pare che la Russia si sia impantanata, prendendo in agosto sotto il proprio controllo dei territori, che in generale non le sarebbero necessari neanche se fossero gratuiti, ma che con il tempo le costeranno sempre di più.

Un’uscita da questa spiacevole situazione potrebbe essere una nuova guerra. Lo FSB [9] ha reso noto che Tbilisi prepara atti terroristici e di sabotaggio contro le truppe russe in Ossezia del Sud e in Abcasia. Il ministro della Difesa Anatolij Serdjukov ha dichiarato: “Ci inquieta l’incremento del potenziale militare portato avanti dalla leadership georgiana e il fatto che il paese venga attratto nella NATO. Questa attività potrebbe provocare un conflitto molto più serio degli avvenimenti dell’agosto di quest’anno”. Forse è già iniziata l’elaborazione di una nuova “definitiva” operazione.

Pavel Fel’gengauèr [10]
osservatore della “Novaja gazeta”

Mosca - Tbilisi - Ergneti

08.12.2008, “Novaja gazeta”,

[1] Nell’originale c’è un gioco di parole tra razrubit’, “tagliare a pezzi” e rasstreljat’, “sparare a volontà”.

[2] Principale base navale georgiana.

[3] Importante porto georgiano.

[4] Abbreviazione del nome russo della struttura: Glavnoe Operativnoe Upravlenie General’nogo Štaba.

[5] Capitale dell’Ossezia del Nord.

[6] Abbreviazione del nome russo: Dogovor ob Obyčnych Vooružënnych Silach v Evrope.

[7] Armamento di produzione israeliana.

[8] Monte sul confine tra l’Ossezia del Nord e l’Ossezia del Sud.

[9] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), l’erede del KGB.

[10] Pavel Evgen’evič Fel’gengauèr, giornalista freelance e stimato osservatore militare.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/12/purtroppo-tra-russia-e-georgia-non.html

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