31 ottobre 2008

A proposito del nazionalismo russo (IV)

Le autorità di Mosca garantiscono che impediranno il corteo non autorizzato dei nazionalisti il 4 novembre

Ogni tentativo del cosiddetto Movimento contro l’immigrazione illegale (DPNI [1]) e dell’ “Unione Slava” [2] di svolgere azioni non autorizzate nel Giorno dell’unità nazional-popolare [3] a Mosca il 4 novembre sarà impedito dalle forze dell’ordine, ha dichiarato martedì a Interfax [4] il vice direttore dell’ufficio stampa del sindaco e della giunta di Mosca Leonid Krutakov.

“Il 4 novembre, giorno dell’unità nazional-popolare, a Mosca avrà luogo un’enorme quantità di manifestazioni popolari. Tutti i servizi della città che si occupano della sicurezza di queste lavorano al massimo delle loro possibilità”, – ha detto L. Krutakov.

Questi ha sottolineato, che “per quanto riguarda le richieste presentate per svolgere manifestazioni di massa, l’ufficio del sindaco di Mosca agisce secondo la legge, tenendo fede fra l’altro al principio di soddisfare le richieste presentate con maggiore anticipo”.

“Nel caso della “Marcia Russa”, che non è una manifestazione significativa e di massa, si è verificato un errore. L’“Unione Nazional-Popolare” [5] di Sergej Baburin ha presentato per prima la richiesta di svolgere una manifestazione sul lungofiume Taras Ševčenko”, – ha detto L. Krutakov.

Il rappresentante ufficiale delle autorità della capitale ha chiarito, che alcune altre organizzazioni avevano presentato una richiesta per quel posto, tuttavia più tardi si sono accordate per associarsi all’“Unione Nazional-Popolare”. “Cosicché la manifestazione sul lungofiume Taras Ševčenko avrà luogo”, – ha sottolineato L. Krutakov. Questi ha aggiunto che “a singole persone, che operano a nome del Movimento contro l’immigrazione illegale (DPNI), che non è registrato, è stato pure proposto di associarsi all’“Unione Nazional-Popolare” e ad altre organizzazioni”.

“I punti sui quali il DPNI avanzava pretese, erano occupati sulla base di richieste presentate in precedenza”, – ha detto L. Krutakov.

“Ogni tentativo del DPNI e dell’“Unione Slava” di far passare l’operato della giunta di Mosca per la tutela dell’ordine e della legalità nello svolgimento di manifestazioni popolari per un divieto di queste manifestazioni è una menzogna”, – ha dichiarato il rappresentante delle autorità moscovite. Questi ha sottolineato che “l’appello a prender parte a un corteo non autorizzato a fronte della possibilità di svolgere una manifestazione legale è una provocazione”. “Cose del genere saranno impedite con la forza dal GUVD [6] di Mosca e, indubbiamente, la responsabilità ricadrà sulle persone che avranno preso parte a questa provocazione”, – ha detto L. Krutakov.

Al contempo una fonte importante dell’Interfax nell’amministrazione cittadina, che desidera restare anonima, ha espresso dubbi in merito in quanto finora nei confronti dei leader del DPNI e dell’“Unione Slava”, che non sono registrati, non è stato avviato alcun procedimento penale per estremismo e incitazione all’odio interetnico e le stesse organizzazioni non registrate da loro guidate non sono state riconosciute come estremistiche”.

“Interfax-Mosca”

30.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/81/11.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Abbreviazione del nome russo Dviženie protiv nelegal’noj immigracii.

[2] Movimento ultra-nazionalista che si prefigge dichiaratamente di fare della Russia un paese monoetnico.

[3] Festa che dal 2004 ha rimpiazzato quella del 7 novembre (in epoca sovietica Festa della Rivoluzione d’Ottobre – il 7 novembre era il 25 ottobre del calendario giuliano allora in uso in Russia – e inseguito Festa della Riconciliazione). Il 4 novembre 1612 le milizie popolari guidate dai principi moscoviti Minin e Požarskij attaccarono la guarnigione polacca che presidiava la zona del Cremlino (la Russia era rimasta senza zar e i polacchi tentavano di insediare sul trono russo il figlio del re di Polonia – dopo la cacciata dei polacchi fu posto sul trono lo zar Michele, primo della dinastia dei Romanov).

[4] Agenzia di stampa russa non governativa.

[5] Partito nazionalista.

[6] Glavnoe Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione Centrale degli Affari Interni), in pratica la polizia.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/come-lotta-mosca-con-il-nazionalismo.html

A proposito della situazione del Caucaso (V)

L’hanno preso dall’orfanotrofio

In Cecenia i sequestri di persona continuano

Giovedì 16 ottobre alle 18.30 Muslim Musaevič Ucaev, anno di nascita 1984, è stato arrestato e trasportato chissà dove da agenti del reggimento di polizia con compiti speciali “Kadyrov”.

Muslim Ucaev è un ospite del noto orfanotrofio domestico di Chadižat Gataeva. Chadižat, abitante a Groznyj, creò un orfanotrofio all’inizio della prima guerra cecena [1] per i bambini che erano rimasti orfani a causa delle azioni di guerra in Cecenia.

Molti suoi ospiti, anche dopo essere diventati adulti, sono rimasti a vivere nell’orfanotrofio, perché non avevano altro posto in cui vivere.

Muslim Ucaev, i cui genitori e i cui parenti più prossimi sono morti durante il conflitto, è cresciuto in questo orfanotrofio. In seguito ha lavorato in campo edile a Groznyj e ha dato la maggior parte dei suoi guadagni per mantenere i bambini dell’orfanotrofio. I collaboratori e gli ospiti dell’orfanotrofio sono diventati già da molto tempo una vera famiglia per Muslim.

Giovedì si sono avvicinate all’orfanotrofio tre macchine, da cui sono usciti dodici “kadyroviti” [2] armati. Con loro c’era un ragazzo, il cui volto era coperto da un cappuccio. Da Muslim hanno preteso che riconoscesse questa persona. Muslim ha risposto che forse l’aveva anche vista da qualche parte, ma non sapeva chi fosse. Allora hanno ordinato a Muslim di sedersi in macchina e l’hanno portato chissà dove. Gli educatori dell’orfanotrofio non hanno potuto prender note delle targhe delle macchine con le quali sono arrivati i “kadyroviti”, perché questi hanno circondato l’orfanotrofio e non hanno permesso a nessuno di uscire.

A tarda sera Muslim ha telefonato a casa e ha detto che non si preoccupassero per lui. Ma dove si trovasse non l’ha detto. La cosa più probabile è che abbia telefonato per ordine dei sequestratori. Il giorno dopo gli educatori dell’orfanotrofio (di fatto gli unici familiari di Muslim) si sono rivolti alla polizia e alla procura denunciando il sequestro.

Natal’ja Èstemirova

20.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/78/08.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Quella iniziata nel 1994 e conclusasi con l’armistizio di Chasavjurt (Daghestan) nel 1996.

[2] Uomini delle forze armate che agivano come l’esercito personale del presidente ceceno Achmad Kadyrov e che suo figlio Ramzan ha ereditato prima ancora della presidenza.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/nella-cecenia-pacificata-tutto-procede.html

28 ottobre 2008

A proposito della situazione del Caucaso (IV)

"Memorial": le azioni degli uomini delle forze armate provocano l’attivizzarsi dei militanti nel Caucaso settentrionale


Kavkazskij uzel [1], 27.10.2008 16:24

Il 20 ottobre a Parigi si è svolto l’ennesimo round di consultazioni tra gli attivisti per i diritti umani in Russia e i rappresentanti dell’Unione Europea. I difensori dei diritti umani hanno fatto notare l’attivizzarsi delle organizzazioni armate sotterranee nel Caucaso settentrionale in risposta alle torture, alle esecuzioni extragiudiziali e alla profilassi violenta portata avanti dalle forze armate.

Sulla base di sentenze della Corte Europea vengono pagati risarcimenti ai familiari delle persone uccise e sequestrate, tuttavia nessuno si accinge a cambiare le leggi che danno poteri illimitati alle forze armate.

Di questo si parla nel comunicato stampa dell’associazione per la difesa dei diritti umani “Memorial”, diffuso il 27 ottobre.

Alle consultazioni con la parte russa hanno preso parte gli attivisti per i diritti umani Sergej Lukaševskij e Ol’ga Šepeleva (Centro “Demos” [2]), Aleksandr Verchovskij (Centro "SOVA" [3]), Tamirlan Akiev (sezione inguscia di “Memorial”), Marina Piskljakova-Parker (Centro “ANNA” [4]) e Mara Poljakova (presidente di un consiglio indipendente di esperti di diritto, membro del consiglio per lo sviluppo degli istituti della società civile e per la difesa dei diritti umani del presidente russo).

Nel rapporto presentato dall’associazione per la difesa dei diritti umani “Memorial” si è fatto notare che l’attuale legislazione russa da alle autorità che lottano contro il terrorismo “poteri intollerabilmente ampi”.

Per esempio, la legge federale “Sulla lotta al terrorismo” [5] permette di arguire che il regime di conduzione di un’operazione antiterroristica (KTO [6]) può estendersi a qualsiasi territorio. La legge non prevede alcuna limitazione, neanche approssimativa, all’estensione di questo territorio. Il territorio, nei cui confini si introduce il regime di KTO, è determinato dal capo di questa, designato da non si sa chi (su questo la legge tace), soggetto solo al direttore dell’FSB [7]. Se questo equivarrà a una casa o a mezza Russia, lo decide un “capo” non diretto da alcuno, si fa notare nel rapporto.

Tuttavia, perfino disponendo di enormi poteri, le autorità “vanno continuamente e sistematicamente a infrangere direttamente le norme di legge, a compiere violenze illegali”, nota “Memorial”. Gli uomini delle forze armate percepiscono la loro totale mancanza di controllo e la loro impunità. Gli organi della procura non solo non fanno cessare le violazioni dei diritti umani, ma essi stessi non di rado operano in qualità di trasgressori. E’ del tutto evidente che tale pratica trova l’appoggio e la protezione delle più alte autorità russe, – fa notare “Memorial” nel rapporto.

Nei tre mesi estivi del 2008 in Inguscezia sono stati uccisi 29 militanti e feriti 75, in Cecenia – 33 e 70 rispettivamente. Il numero di perdite nelle forze armate in queste repubbliche ha raggiunto il livello di due anni fa – il periodo in cui agiva Basaev, si dice nel rapporto. Gli uomini di “Memorial” fanno particolare attenzione al fatto che per la prima volta il numero generale di perdite nella piccola Inguscezia ha superato quello della Cecenia.

I rappresentanti del ministero della Difesa e del ministero degli Interni russi affermano che l’attivizzarsi dei militanti in Inguscezia e in Daghestan sarebbe causato dal fatto che i militanti sono stati spinti là dalla Cecenia. Tuttavia gli attivisti per i diritti umani notano che in queste repubbliche si sono create organizzazioni sotterranee locali, fra l’altro grazie agli sforzi degli stessi uomini delle forze armate.

Nel rapporto si dice che nell’ultimo anno e mezzo, durante le operazioni speciali per gli arresti di sospetti di appartenere a formazioni armate illegali (NVF [8]), gli uomini delle forze armate preferiscano eliminarli [9] sul posto. In molti casi i testimoni affermano che le persone uccise non avevano fatto resistenza, ma che non avevano neanche tentato di arrestarli. Non di rado gli uomini delle forze armate mettono delle armi in mano alle persone uccise davanti agli occhi dei testimoni. Di conseguenza i familiari delle persone uccise entrano nelle NVF per vendicarsi sanguinosamente delle forze armate, si fa notare nel rapporto.

Insieme alle esecuzioni extragiudiziali in Inguscezia, “Memorial” ha registrato un nuovo incremento dei casi di sequestro di persona in Cecenia e in Daghestan a partire dal maggio 2008.

Tuttavia, se fino al giugno 2007 molti degli abitanti del Daghestan sequestrati sparivano senza lasciare traccia, adesso i familiari li trovano qualche giorno dopo in qualche ROVD [10] o nei carceri per la detenzione preventiva. Per allora la persona temporaneamente scomparsa con l’aiuto delle torture è riuscita a “confessare” di aver commesso crimini di tipo terroristico.

Dall’estate 2008 appare sempre più forte un’altra tendenza pericolosa. Le persone e le organizzazioni, che parlano delle violazioni dei diritti umani nel Caucaso settentrionale vengono sottoposte ad attacchi e persecuzioni mirate.

In Daghestan dalla primavera 2008 si è sviluppata una campagna volta a screditare l’organizzazione per la difesa dei diritti umani “Madri del Daghestan per i diritti umani”. Questa organizzazione da risonanza ai casi di sequestro di persona, tortura e falsificazione di procedimenti penali ed esige dalle autorità indagini e punizioni dei colpevoli. A persecuzioni è stata sottoposto anche il giornale “Černovik” [11].

In Cecenia, nonostante le affermazioni delle autorità sul raggiungimento di una stabilità generale, queste non riescono a schiacciare del tutto la resistenza armata. Il sistema essenzialmente totalitario istituito in questa repubblica causa sentimenti di protesta tra i giovani. Un nuovo mezzo di pressione sui familiari dei “militanti” è l’incendio delle abitazioni delle loro famiglie. Al PC [12] “Memorial” sono noti 17 casi di incendi del genere, verificatisi nell’estate di quest’anno.

Da aprile fino al 9 ottobre la Corte Europea per i diritti umani ha emesso sentenze su undici nuovi casi di istanze di abitanti della Cecenia. Tutti questi riguardavano violazioni di diritti umani compiute durante lo svolgimento di operazioni antiterroristiche. Nel complesso la Corte Europea ha emesso 37 sentenze su istanze di abitanti della Cecenia e dell’Inguscezia, danneggiati nel corso di operazioni antiterroristiche. Tutte le sentenze, tranne una, sono state emesse in favore dei querelanti.

Ai querelanti i risarcimenti pecuniari vengono pagati nel tempo indicato e per intero. I procedimenti penali vengono riavviati. Tuttavia le inchieste vengono portate avanti pro forma, le indagini si trascinano in modo ingiustificato. Nonostante l’evidente complicità nei crimini da parte di autorità concrete, nessuna di esse viene chiamata a rispondere in sede penale, si fa notare nel rapporto.

Non è stata chiarita la sorte di alcuna delle persone “scomparse”, su cui la Corte Europea per i Diritti Umani ha emesso sentenze. E tanto meno si è intrapreso qualcosa per introdurre qualche emendamento negli atti normativi che regolamentano l’operato delle forze armate nelle zone dei conflitti interni – la legislazione sulla lotta contro il terrorismo e gli statuti delle forze armate. Tra l’altro la necessità di introdurre tali emendamenti deriva direttamente da alcune sentenze della Corte Europea per i Diritti Umani, si fa notare nel rapporto di “Memorial”.

Tra l’altro, come ha dichiarato il corrispondente di “Kavkazskij uzel”, il membro di “Memorial” Aleksandr Čerkasov, la situazione nella repubblica di Inguscezia è vicina alla guerra civile – tra le forze armate ingusce da una parte e i loro consanguinei desiderosi di vendetta dall’altra.


[1] “Nodo del Caucaso”, sito legato all’associazione “Memorial” (Memoriale), nata per difendere la memoria delle vittime del regime sovietico e tuttora attiva nella difesa dei diritti umani in Russia.

[2] Centro per la difesa dei diritti umani.

[3] Agenzia di informazioni indipendente.

[4] Associazione per la difesa dei diritti delle donne legata ad “Amnesty International”.

[5] Le leggi russe non hanno un numero, ma un titolo.

[6] KontrTerrorističeskaja Operacija (Operazione AntiTerroristica).

[7] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), l’erede del KGB.

[8] Nezakonnye Vooružënnye Formirovanija (Formazioni Armate Illegali).

[9] Letteralmente “annientarli”.

[10] Rajonnyj Otdel Vnutrennich Del (Sezione Provinciale degli Affari Interni), in pratica la sede provinciale della polizia.

[11] “Brutta copia”.

[12] Pravozaščitnyj Centr (Centro per la Difesa dei Diritti Umani).



http://www.ingushetia.org/news/16313.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)



http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/intanto-linguscezia-diventa-la-nuova.html

24 ottobre 2008

A proposito del passato della Russia (IV)

Verdetto: no (,) al museo [1]

Il tribunale provinciale di Tomsk [2] ha deliberato: il Museo della repressione politica deve liberare gli spazi che ha occupato. Ma la città, crediamo, non permetterà questo

Il 5 settembre c.a. il tribunale del quartiere Sovetskij [3] della città di Tomsk ha soddisfatto la richiesta del querelante – l’imprenditore Igor’ Skorobogatov [4], riconoscendo sua proprietà il sotterraneo del condominio al n. 44 del viale Lenin. Il secondo punto della sentenza impone al fruitore del sotterraneo di liberare gli spazi occupati. Ma questi sono occupati già da sedici anni dal Museo in memoria delle repressioni politiche. Questo è come uno sfratto della storia, che non ha più dove andare – è troppo terribile perché nel nostro tempo glamour sia accolta da qualche parte.

Non ci sono più musei del genere in Russia

Il Museo “Carcere preventivo dell’NKVD [5]” è stato istituito nel 1989 su iniziativa dell’associazione “Memorial” [6] di Tomsk e per ordine del responsabile del dipartimento per la cultura del Comitato esecutivo regionale come filiale del museo etnografico regionale. Quattro anni dopo sulla base di una delibera del consiglio comunale fu fornita al museo la parte sotterranea dell’edificio, dove dal 1923 al 1944 si trovava il carcere interno della sezione cittadina dell’OGPU [7], che nel 1934 entrò a far parte del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD).

Sotto l’insegna con questa abbreviazione gli arrestati scendevano nel sotterraneo, di regola senza tornarvi. Nel corso di un solo anno, dal ’37 al ‘38, da qui furono inviate sul monte Kaštačnaja (ai margini della città), dove si eseguivano le condanne a morte, circa 11000 persone. Nel complesso negli anni del terrore, gli anni ‘20-‘50, secondo gli storici di Tomsk, su di esso sono state fucilate “molte decine di migliaia” di rappresentanti di tutti gli strati sociali e di tutte le condizioni di vita. In particolare hanno sofferto i contadini, il clero e la nobiltà deportati nella regione di Tomsk (a quel tempo distretto di Narym [8]). I “trasferiti speciali”, distribuiti nei suoi lager, ammontavano, secondo i dati della sezione di “Memorial” di Tomsk, a mezzo milione di persone. Ne è sopravvissuta appena la metà…

Non ci sono più musei del genere nel nostro paese. Nel villaggio di Jagodnoe nella regione di Magadan [9] il giornalista Ivan Panikarov ha creato nella propria casa il museo del Gulag della Kolyma [10], raccogliendo centinaia di reperti – attrezzi da lavoro, oggetti di uso comune nel lager, migliaia di fotografie, disegni di prigionieri, lettere inviate alle loro case, originali di procedimenti penali… Ma Jagodnoe è un posto lontano dal centro della regione, che a sua volta è lontana dal resto della Russia. Ma il “Carcere preventivo…” è nella via principale di una grande città siberiana (il viale Lenin), sulla strada per il municipio. Qui tutto è simbolico, incluso il fatto che nei tempi più recenti il viale è rimasto fedele al proprio nome.

In questa via non ci sono nuove costruzioni, che coprirebbero la vista in lontananza (anche storica), peraltro appaiono subito cinque scuole superiori, ci sono giovani visi intelligenti. E all’improvviso – il carcere dell’NKVD. Prego, entrate in prigione, la porta è aperta ogni giorno dalle 9 alle 18. La ripida scalinata è un’immersione nel grande terrore di stato. All’ingresso nel sotterraneo c’è un cekista [11] con pantaloni neri a sbuffo e cinturone. Per fortuna è un manichino, tuttavia la mano istintivamente fruga in tasca – per cercare il passaporto [12].

Questo museo si distingue dagli altri per il fatto che in esso si conservano non solo i segni del tempo, i suoi dettagli culturali e di vita quotidiana, ma, pare, anche il tempo stesso – a grandezza naturale. Un reality-show del genere. Le cifre non penetrano la coscienza, tanto più quella delle masse – se anche si fermano nel cervello, decadono come detriti, come pure le parole “repressioni”, “terrore”, consumate dall’uso frequente. Nel nostro paese – troppo frequente.

Ma è necessario che al visitatore corrano i brividi per la schiena. Negli anni ’37-‘38 da questo corridoio grigio scuro c’era una sola uscita. Sulla superficie di mattoni nudi c’è una scultura – una schiena e una nuca: l’ultima strada. Qui, dice il direttore del museo Vasilij Chanevič, durante i lavori di ristrutturazione di due anni fa fu trovato un passaggio sotterraneo, che univa il carcere preventivo alla direzione dell’NKVD. Gli operai hanno trovato dei bossoli. In precedenze, a quanto testimoniano gli etnografi, qui furono trovati anche dei resti umani. E’ sorto il sospetto che le fucilazioni venissero eseguite anche qui, nel sotterraneo – forse per economizzare le forze e le risorse. Nello stesso ‘37, quando i piani per la liquidazione degli “elementi ostili” furono bruscamente accelerati, all’NKVD avrebbero potuto sorgere problemi di mezzi per il trasporto di persone sul monte Kaštačnaja. Un carico particolarmente gravoso cadde sui poveri inquirenti, questi sgobbavano senza dormire – ogni notti bisognava preparare 10-12 procedimenti per la “misura estrema” [13].

Negli anni ‘60 intendevano porre in questo posto la “tabella d’onore” [14] cittadina, ma a causa dei resti ritrovati ci ripensarono. Negli anni ‘80 decisero di erigervi un monumento al famoso bolscevico siberiano Nikolaj Jakovlev (nel 1918 fu presidente del CIK [15] della Siberia sovietica). Il Comitato esecutivo cancellò questa decisione nel 1989, deliberando di creare il Museo delle repressioni politiche: in quell’anno sopra l’entrata nel sotterraneo fu posta la “Pietra del dolore” e tre anni dopo il monumento alle vittime del terrore bolscevico nella terra di Tomsk.

…Lungo il corridoio ci sono cinque celle. Chanevič apre una di esse. I dettagli della vita quotidiana in cella, racconta, sono stati ricreati con esasperata precisione sulla base dei ricordi degli ex reclusi. Alcuni sono tornati vivi da qui. Tra quelli a cui è andata bene, alcune persone sono arrivate a vivere fino all’apertura del museo (Valentina Mutina, Georgij Uspenskij, i fratelli Franc e Pëtr Romančuk). Questi sono divenuti anche i principali esperti. In particolare hanno indicato, che come bugliolo nelle celle si utilizzava una botticella e non un secchio. Una per 20 persone. Tanto era affollato là nel pieno del grande Terrore. Nelle celle c’erano tre brande. Su di esse ci si può sedere. Ma non si riesce a immaginare come trovasse posto tanta gente qui.

…A Tomsk sono giunto da Omsk [16] in un vagone cuccetta pieno come un uovo. Là per ogni posto c’erano sei persone. Per non soffocare ho passato la notte nel passaggio tra i vagoni. Se nel vagone ci fosse stata anche quella botticella… Il viaggio da Omsk a Tomsk dura 16 ore. Gli arrestati del ’37 attendevano in cella il verdetto per 2-3 settimane. Dormivano su nude assi, coperte con le giubbe. Sono passati per queste brande i principi Golicyn (tenente, prima dell’arresto recitava nel teatro drammatico di Tomsk), Urusov (pure attore, in verità dilettante, nel teatro del kolchoz), Volkonskij, Volkonskaja, Dolgorukov, Širinskij-Šichmatov – gli ultimi quattro ci passarono per il caso dell’“Unione per la salvezza della Russia” “dei cadetti [17] e dei monarchici, che preparava un colpo di stato”.

Senzatetto in eterno

Come capo di questa organizzazione inventata dall’NKVD (per aver preso parte alla quale furono fucilate migliaia di persone) i cekisti “designarono” Nikolaj Kljuev, che la Achmatova definì “un poeta molto significativo” e Brodskij “un grande”, che contava tra i propri maestri. Kljuev fu arrestato nel ‘34 come autore del “poema da kulak” Pogorel’ščina [18] e deportato nel villaggio di Kolpaševo nel distretto di Narym, da cui per l’intervento di uno sconosciuto (ci sono varie versioni – Gor’kij, il poeta Klyčkov [19], l’Unione degli Scrittori e perfino lo stesso Jagoda [20]) alla fine dello stesso anno fu trasferito a Tomsk, dove non gli fu più facile sopravvivere. Da una lettera agli amici: “…il freddo è sotto i 40 gradi sotto zero. Sono senza stivali imbottiti e nei giorni di mercato mi riesce più di rado di andare a chiedere l’elemosina. Danno patate, molto di rado pane… Sono in arrivo geli fino a 60 gradi sotto zero, temo che morirò per strada. Ah, se fossi al caldo vicino alla stufa!”

Nel ‘36 c’è un nuovo arresto e il poeta già paralizzato viene posto nel carcere preventivo. Nel protocollo dell’interrogatorio sono indicati erroneamente il suo anno di nascita e quello del primo arresto (invece del 1934 il 1930). L’inquirente Torbenko aveva fretta. Kljuev non si riconobbe colpevole e firmò il protocollo. Lev Pičurin, professore di matematica, primo presidente della sezione regionale di “Memorial”, ha dato da esaminare la firma ai criminologi. La conclusione del primo inquirente dell’UVD [21], il maggiore Golyšev: “colui che ha firmato si trovava in difficili condizioni psicofisiche”. Su delibera della “troica” dell’NKVD fu condannato alla fucilazione nell’ottobre del ‘37. Da una lettera a Sergej Klyčkov: “Sono stato bruciato sulla mia “Pogorel’ščina” come il mio avo, il protopope Avvakum [22] sul rogo di Pustozërsk [23]… il mio sangue lega due epoche”.

La casa in cui il poeta visse a Tomsk è stata demolita due anni fa. Non con cattive intenzioni, dice il co-presidente di “Memorial” Boris Trenin, piuttosto per incomprensione. Era una vecchia costruzione di legno, in essa vivevano due famiglie, bisognava sistemarle. Si capisce, lo stesso comune non poteva farlo – da dove poteva prendere i mezzi per dare un’abitazione a dei semplici cittadini? Lo schema è tradizionale: la municipalità ha venduto la terra sotto la casa all’impresa costruttrice, questa ha comprato degli appartamenti ai residenti nell’edifico demolito. E la società ha taciuto, in quanto non sapeva della demolizione – le informazioni su di essa le sono giunte a cose fatte. Neanche il comune sapeva cosa dava il permesso di fare: la casa non era nel registro dei monumenti storici. Eppure Kljuev è onorato a Tomsk – una delle vie porta il suo nome, su di lui è stato girato un documentario e su questa casa negli anni ’90 fu posta una targa in memoria. Ben presto, a dire il vero, l’hanno svitata i “metalmeccanici” locali – l’hanno data a un punto di raccolta di metallo lucido, dove è stata trovata in tempo e adesso è conservata nel museo “Carcere preventivo dell’NKVD”.

Contesa con la storia

Nella sentenza del tribunale sullo sfratto del museo, secondo Boris Trenin, non ci sono risvolti politici. E’ stata emessa secondo il codice sulle abitazioni, secondo cui i “i luoghi di uso comune” (sotterranei, tetti, scale, mansarde) devono appartenere ai proprietari delle abitazioni. L’imprenditore Igor’ Skorobogatov possiede due piani, posti sopra l’ex carcere e la maggior parte dei metri quadrati (568 su 812). Di abitazioni vere e proprie qui è rimasto poco – due appartamenti in tutto. Le restanti abitazioni, acquistate dall’imprenditore negli anni 2003-2005, vengono ristrutturate da questi come spazi commerciali e uffici. Non di meno ha fatto causa in qualità di presidente del TSŽ [24]. Chi ne faccia parte, a parte il querelante, non sono riuscito a chiarire. Come mi hanno detto i residenti in uno degli appartamenti (il loro cognome è Bel’skij), non sono entrati a far parte di alcuna compagnie. “E i vostri vicini?” – “E’ improbabile”. Non sono riusciti a trovar loro un’altra casa.

Così come incontrarsi con Igor’ Skorobogatov: questi è un uomo influente in città, molto occupato. Tra laltro, sapeva dellarrivo del corrispondente dellaNovaja gazeta”. Il giorno prima glielo ha comunicato Boris Trenin e l’uomo d’affari gli ha trasmesso la sua opinione sulla situazione del museo “Carcere preventivo…” da dare al giornale: è necessario che tutte le parti interessate – il museo, “Memorial”, l’amministrazione cittadina ed egli stesso, come presidente del TSŽ – si siedano al tavolo delle trattative per prendere una decisione che permetta, da una parte di mantenere il museo, dall’altra di salvaguardare gli interessi dei proprietari, a nome dei quali è stato fatto causa.

Cioè, a dirla esattamente, i suoi interessi, quelli di Igor’ Skorobogatov. Ma capire in cosa precisamente consistano, a leggere le sue dichiarazioni, pubblicate dai giornali di Tomsk, non è facile. Da tutto ciò che ha detto emerge l’immagine di un uomo contraddittorio. Altrettanto contraddittorie appaiono in queste pagine le autorità cittadine. Da una parte, grazie ad esse il museo 3 anni fa fu ristrutturato completamente. Alla vigilia del quadricentenario di Tomsk il municipio propose agli uomini d’affari locali di investire nel centro storico: riportare i vecchi edifici in uno stato accettabile, ottenendo in cambio il diritto a una loro parziale privatizzazione. Skorobogatov (la sua azienda “Noks”) sistemò tetti di abitazioni che si trovavano in stato pericolante, trasformò antiche vie di comunicazione, e riscattò gradualmente la maggior parte degli appartamenti dove negli anni ‘40-‘50 avevano vissuto le famiglie degli ufficiali dell’NKVD e a partire dagli anni ‘60 gli insegnanti delle scuole superiori di Tomsk. Fu ristrutturato anche il sotterraneo.

“Ci siamo liberati dei tubi temporanei, – dice il direttore del museo Vasilij Chanevič, – da noi sono comparse nuove finestre, un uscita su una piazzetta, adesso possiamo accogliere senza vergogna qualsiasi comitiva o delegazione”. Il pagamento di queste buone azioni è consistito nel fatto che il museo ha perso un terzo dei propri spazi, dove poteva esporre molti reperti: sono andati a Skorobogatov 100 metri quadrati, in cui questi ha aperto un internet-caffè e adesso pretende i restanti 200. Ma nel frattempo dichiara, in particolare al canale televisivo ТV-2 [25], che è ben conscio di “cos’è questo museo per la città e per la Russia” e che in nessun caso intende sfrattarlo. Ma il verdetto del tribunale, emesso su sua istanza, prescrive alla “filiale del museo etnografico di Tomsk” (tale è lo status del “Carcere preventivo…”) di liberare il posto occupato.

A cosa serviva all’imprenditore, se non intende venderlo, trarne un guadagno? Perché ha tirato avanti una contesa giudiziaria così rumorosa (il clamore suscitato da essa a Tomsk difficilmente andrà a vantaggio dell’azienda)? Una risposta più o meno chiara a questa domanda Igor’ Skorobogatov l’ha data al giornale “Severnaja storona” [26]: aveva bisogno di diventare proprietario di tutto il sotterraneo per avere continuo accesso alle vie di comunicazione. “Di quali comunicazioni si parla? – si stupisce Vasilij Chanevič. – Qui non ce ne sono, sono state tutte eliminate durante la ristrutturazione globale”, cosa di cui mi sono potuto convincere da solo: l’unica cosa che unisce il museo ai piani superiori è il tubo del riscaldamento, esso unisce il sotterraneo al summenzionato appartamento dei Bel’skie [27], dove Skorobogatov non è considerato un compagno, ma, al contrario, sono sconcertati dal suo operato. La ristrutturazione da lui condotta giunse sulla soglia di questo appartamento e senza troppe cerimonie entrò in esso.

“Guardate cos’hanno combinato”, la docente di economia politica Galina Vladimirovna mi mostra la cucina: sui muri e sul soffitto ci sono macchie di stucco asportato. Nell’ingresso ci sono fori fatti dagli operai dal lato dell’ingresso condominiale, dove non ci sono sostegni sotto la trave di supporto. Qui i residenti vanno alla spera in Dio – il soffitto potrebbe crollare in qualsiasi momento.

Per quanto strano, il Codice per le abitazioni permette a un imprenditore che ha comprato la maggior parte degli appartamenti di un condominio di nominare se stesso presidente del TSŽ da lui stesso creato. Manterrà questo status anche dopo la trasformazione di essi in locali non di abitazione. La questione è: quando è stato creato questo TSŽ – prima o dopo? Skorobogatov è divenuto proprietario degli appartamenti ancora prima della promulgazione del Codice per le abitazioni. Da qui sorgono i dubbi sulla legittimità della sua istanza. Tanto più che il sotterraneo fu dato in usufrutto gratuito al museo da parte del dipartimento immobiliare nel ‘98. “E ciò significa che nessuno ha diritto di avanzare pretese su questo spazio”, – mi hanno detto concordi al comitato regionale per i diritti umani. A dire il vero, non quello di Tomsk, ma di Omsk.

Boris Trenin si è espresso con durezza sui locali difensori dei diritti umani: “Sono buoni solo a fare manifestazioni, ma di portare avanti una causa civile seria non sono in grado o non vogliono: tutto il loro operato è indirizzato a far rumore attorno a se”. Non avendo la possibilità di assumere avvocati costosi, la sezione di “Memorial” di Tomsk è rimasta sola con giuristi esperti del mondo degli affari ed è stata sconfitta. Tra l’altro nelle tappe successive di questa contesa giudiziaria (contro il verdetto del tribunale provinciale è già stato fatto ricorso in quello regionale) quelli di Tomsk potranno contare sulla partecipazione di quelli di Omsk – il presidente della KPČ [28] Valentin Kuchencov ha espresso solidarietà a quelli di “Memorial” e si è detto pronto ad appoggiarli nella lotta per un giusto processo.

Ma le autorità di Tomsk e della regione in questa vicenda hanno mantenuto un atteggiamento neutrale – finché i mass media non hanno fatto rumore per il verdetto ai danni del “Carcere preventivo…”. I mass media in questa città significano molto. Da Omsk, dove non significano praticamente niente, giungi qui come in un altro paese: colpisce il coraggio dei giornali e della televisione locale. E la sezione di “Memorial” di qui è una delle più forti del paese. Nella regione ci sono decine di monumenti alle vittime delle repressioni. Di recente sul tristemente noto monte Kaštačnaja è stata posta una croce in loro omaggio e quest’anno è stato eretto un monumento sulla fossa comune. Ma per ottenere una nuova sepoltura per i resti in essa contenuti ci sono voluti molti anni. Con tutta la loro democraticità le autorità di Tomsk restano autorità e il loro atteggiamento al riguardo è cauto.

Il capo del dipartimento regionale della Cultura Andrej Kuzničkin ha espresso preoccupazione per la sorte del “Carcere preventivo…” e ha detto che “ha fatto rapporto sulla situazione al governatore e che “nella soluzione della questione saranno coinvolti i giuristi della regione”. Quest’anno il museo ha compiuto 15 anni. Il capo della regione Viktor Kress la guida da ancora più tempo. Tuttavia in tutti questi anni di governo non ha visitato il museo una sola volta.

Certi bei volti…”

Peraltro nel primo anno dalla sua creazione ci fu Aleksandr Solženicyn, che lasciò nel libro dei commenti questo appunto: “Mi rallegro della vostra impresa – la ricostruzione dei terribili dettagli del passato comunista”. Nikita Struve, professore di letteratura all’università di Parigi, direttore della nota casa editrice YMKA-PRESS [28], ha scritto così: “Sono sconvolto da questo museo. Questa memoria di una strage senza paragoni è necessaria a tutte le generazioni, perché non si ripetano catastrofi antropologiche не повторял...» Di appunti del genere, che cominciano con lo “sconvolgimento”, me ne sono capitati sotto gli occhi a decine. Ma io ho sfogliato solo un libro su quattro. Vasilij Chanevič ammette di non aver contato gli appunti. In media in un mese 1500 persone visitano il museo, la maggior parte sono alunni delle scuole elementari e studenti.

– E cosa li sconvolge? – domando.

– Ma tutto, – dice Vasilij Antonovič, – sanno proprio poco di questo. Nelle scuole e anche negli istituti superiori questa storia viene affrontata superficialmente, di sfuggita. E neanche noi sappiamo tutto, sebbene ci occupiamo di questo da tanti anni. Come prima questo tema è sconosciuto a molti. Non sappiamo i nomi delle persone fucilate, per non parlare dei nomi dei carnefici. La storia della resistenza al regime è ancora proibita. Negli archivi non si può accedere ad essa. Ci furono scioperi della fame e rivolte, ma questo materiale è segreto.

– In particolare, a quanto osservo, i giovani sono impressionati da quante persone capitarono qui, – dice Boris Trenin, – ecclesiastici, letterati, studiosi, professori degli istituti superiori dove studiano. E queste persone innocenti, tra cui anche molte eccellenti, furono calate qui sotto l’ingresso al sotterraneo. Proprio questo causa uno shock ai giovani.

L’arcivescovo di Rjazan’ [30] Iuvenalij, il geologo Rostislav Il’in (che all’inizio degli anni ‘30 previde che in Siberia sarebbe stato trovato il petrolio), il linguista Gustav Špet, libero docente della MGU [31], che parlava fluentemente 19 lingue, il giurista e letterato Gerbert Zukkau, traduttore del “Soldato Švejk”, il professore di balistica Miron Globus (passò di qui con Tuchačevskij [32] per lo stesso motivo)… Sui volti di queste persone numerate c’è la dignità del dolore e del destino fatale, su alcuni c’è uno stupore infantile. Volti come quelli che si vedono in questi stand, non li ho praticamente mai visti in vita mia. Un’impronta di nobiltà non cancellata da alcunché, da alcuna circostanza della vita. Nelle successive generazioni sovietiche volti del genere, probabilmente, non potevano già più esserci. Mi sembra che appaiano adesso. Li ho visti a Tomsk, in questo museo, tra i suoi visitatori. Con me è passato un gruppo di studenti, condotti là dall’insegnante Elena Vil’gel’movna Klassen. Questa ha deciso che era necessario che fossero qui, sebbene la storia non sia la sua materia, insegna inglese.

– Una cosa del genere non ci sarà nel nostro paese, – hanno detto Nadežda Černyš e Evgenij Kim di Seversk [33].

– E perché la pensate così?

– Non lo permetteremo.

Il nostro paese è ancora enorme. Si estende in lontananza – da destra a sinistra e da sinistra a destra. E non è affatto obbligatorio tenere il conto delle verste [34] di distanza da Mosca, dalle mura del Cremlino. Può cominciare da qui – dall’ultima stazione, da un binario morto. Da un carcere-museo, lunico del paese. Che non ci sarà, se un uomo d’affari locale riuscirà a trasformare questo antimiracolo del mondo, per esempio in un magazzino. Come – in tempi ancora recenti! – fu fatto con migliaia di chiese.

Georgij Borodjanskij
nostro corrispondente, Omsk

16.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/gulag09/02.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Il titolo è scritto in modo sibillino e si può leggere come Verdetto: no al museo o come Verdetto: no, al museo (cioè al museo sia dato il sotterraneo in questione).

[2] Città della Siberia meridionale.

[3] “Sovietico”.

[4] Skorobogatov deriva evidentemente da skoro bogatyj “presto ricco”. Nomen omen?

[5] Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni), la polizia politica staliniana.

[6] “Memoriale”, associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e tuttora molto attiva nella difesa dei diritti umani.

[7] Ob’’edinënnoe Gosudarstvenneoe Političeskoe Upravlenie (Direzione Politica Unitaria di Stato), l’istituzione che precedette l’NKVD.

[8] Villaggio della Siberia meridionale.

[9] Città della Siberia orientale.

[10] Fiume della Siberia orientale, lungo il quale si trovavano alcuni tra i lager più terribili dell’Unione Sovietica.

[11] Agente della ČK (nello spelling russo Če-ka), cioè la Črezvyčajnaja Komissija po bor’be s kontrrevoljucii i sabotažem (Commissione Straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e il sabotaggio), la prima polizia politica russa. “Cekisti” vengono comunque chiamati per estensione tutti gli agenti segreti.

[12] In Russia il passaporto è l’unico documento di identità.

[13] Letteralmente “punta”.

[14] Quella che riportava i nomi e le immagini dei migliori lavoratori.

[15] Central’nyj Ispolnitel’nyj Komitet (Comitato Esecutivo Centrale), in pratica il governo.

[16] Città della Siberia meridionale.

[17] Kadety erano detti i membri del Partito Costituzional-Democratico di orientamento liberale (la sigla era KD – pronunciata ka-dè).

[18] Termine derivante da pogoret’, “bruciare completamente”.

[19] Sergej Antonovič Klyčkov (vero cognome Lešenkov), poeta russo di umili origini, in seguito fucilato anch’egli.

[20] Genrich Grigor’evič Jagoda, capo della polizia politica.

[21] Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione degli Affari Interni), in pratica la sede regionale della polizia.

[22] Il protopope Avvakum, massimo rappresentante dell’opposizione alla riforma della chiesa ortodossa del XVII secolo.

[23] Città del nord della Russia dove il protopope Avvakum fu bruciato sul rogo.

[24] Tovariščestvo Sobstvennikov Žil’ja (Compagnia di Proprietari di Abitazioni), associazione di condòmini.

[25] Ufficialmente TV2, tv privata di Tomsk.

[26] “Parte settentrionale”.

[27] I cognomi russi si declinano per caso (intraducibile in italiano), numero e genere.

[28] Komissija po Pravam Čeloveka (Commissione per i Diritti Umani).

[29] In realtà si tratta della YMCA Press.

[30] Città della Russia centro-meridionale.

[31] Moskovskij Gosudarstvennyj Universitet (Università Statale di Mosca).

[32] Michail Nikolaevič Tuchačevskij, uno dei cinque più alti ufficiali dell’Unione Sovietica, falsamente accusato di tradimento e giustiziato.

[33] Città nei dintorni di Tomsk.

[34] La versta è un’antica unità di misura russa, pari a 1,067 chilometri.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/in-russia-i-
capitalisti-cancellano-le.html


19 ottobre 2008

A proposito di Anna Politkovskaja (VII)

Se il processo sarà (al) chiuso [1], finora non è chiaro

Il processo sul caso Anna Politkovskaja comincerà il 17 novembre

Ieri, 15 ottobre, nel tribunale militare distrettuale di Mosca, sotto la presidenza del colonnello Evegenij Zubov (che ha esaminato il caso dell’omicidio del giornalista di “MK” [2] Dmitrij Cholodov, in cui gli imputati furono assolti) ha avuto luogo l’udienza preliminare per il caso Anna Politkovskaja. Il ruolo di pubblico ministero è svolto dai procuratori Vera Paškovskaja (nota per i processi all’ex ministro Adamov [3] e ai “lupi mannari gallonati” [4]) e Julija Safina.

Sul banco degli imputati ci sono 4 persone, tre delle quali – Sergej Chadžikurbanov, Džabrail Machmudov e Ibragim Machmudov – sono accusati dell’omicidio della giornalista [5] della “Novaja gazeta”. Secondo la versione degli inquirenti, l’ex capitano del RUBOP [6] di Mosca Chadžikurbanov sarebbe l’organizzatore del delitto e i fratelli Machmudov i suoi complici. Il quarto personaggio è il tenente colonnello dell’FSB [7] Pavel Rjaguzov, questi, insieme a Chadžikurbanov è accusato di abuso d’ufficio ed estorsione ai danni dell’imprenditore Èduard Ponikarov. Proprio a causa di Rjaguzov – agente segreto in attività – il caso è finito all’esame del tribunale militare. Inizialmente era stato sospettato anch’egli di complicità nell’omicidio di Anna Politkovskaja, ma alla fine non si sono potute trovare prove (a quanto risulta alla “Novaja gazeta”, a causa tra l’altro di ostacoli alle indagini da parte di rappresentanti dei servizi segreti).

All’udienza non ha potuto giungere in volo da Strasburgo l’avvocato della famiglia di Anna Politkovskaja Karinna Moskalenko, che hanno tentato di avvelenare qualche giorno prima (…). La richiesta di rinviare il processo per via di questa circostanza è stata respinta dal tribunale.

Il tribunale ha respinto anche le istanze degli imputati e dei loro avvocati. In particolare, il tenente colonnello dell’FSB Pavel Rjaguzov aveva chiesto che venissero mutate le misure cautelari nei suoi confronti e che venisse scarcerato sulla parola e ha motivato la richiesta dicendo che non intende fuggire, non medita di fare pressioni su nessuno e che a suo carico si trovano figli minorenni. Il querelante Ponikarov a una domanda del giudice in proposito ha spiegato che in effetti non è stato minacciato personalmente, cosa che non si può dire dei testimoni… Di conseguenza la corte ha lasciato in carcere sia Rjaguzov sia gli imputati dell’omicidio di Anna Politkovskaja. La corte non si è trovata d’accordo con la difesa quanto alla necessità di escludere dal caso alcune prove come irricevibili.

La prima udienza è fissata per il 17 novembre e nel corso di questa, che si terrà a porte aperte, si risolverà una delle questioni principali: se il processo sarà pubblico o a porte chiuse. E’ noto che il fascicolo stesso, che consta di 48 tomi, ha già il timbro “segreto”, che solo la corte può togliere, se lo ritiene necessario e se le altre parti in causa – prima di tutto i rappresentanti dell’accusa – non si opporranno.

Tuttavia, notano i nostri corrispondenti, a giudicare dalle conversazioni nei corridoi e dalle repliche del presidente della corte, la cosa più probabile è che il processo sia chiuso al pubblico e alla stampa. Contro ciò si oppongono seccamente la famiglia di Anna Politkovskaja, gli avvocati della parte lesa e la “Novaja gazeta”.

Il 18 novembre – nel corso della seconda udienza – vi sarà la procedura di convalida del collegio dei giurati.

Sezione Investigativa

15.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/77/02.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Nell’originale si gioca sul verbo zakryt’, che può significare sia “tenere a porte chiuse” che “chiudere”.

[2] Moskovskij Komsomolec (Il membro del Komsomol di Mosca), un tempo organo del Komsomol (l’organizzazione giovanile comunista), adesso giornale popolare.

[3] Evgenij Olegovič Adamov, ex ministro dell’energia atomica, condannato per frode e abuso di potere (pena poi sospesa).

[4] Nome gergale degli ufficiali di polizia corrotti.

[5] Letteralmente “osservatrice”.

[6] Rajonnoe Upravlenie po Bor’be s Organizovannoj Prestupnost’ju (Direzione Provinciale per la Lotta contro la Criminalità Organizzata).

[7] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), l’erede del KGB.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/il-processo-per-

lomicidio-di-anna.html

16 ottobre 2008

A proposito della situazione del Caucaso (III)

Otterremo una seconda Inguscezia?

Tre anni dopo i fatti di Nal’čik [1] la repressione dei credenti continua


Alla vigilia del terzo anniversario dei fatti di Nal’čik il centro per la difesa dei diritti umani “Memorial” [2] ha presentato lo studio “Kabardino-Balkaria: sulla strada verso la catastrofe. I presupposti dell’azione armata a Nal’čik del 13-14 ottobre 2005”.
“Molti degli assalitori non sapevano sparare ed assomigliavano poco all’immagine del militante che esce dal bosco. Abbiamo cercato di capire cosa mai li abbia costretti a prendere le armi, – ha detto l’autore del rapporto Aleksandr Žukov. – Solo dopo l’attacco si è chiarito che molti di loro erano membri di una comunità musulmana locale – il jama’at [3] della Kabardino-Balkaria. Si sono anche scoperti numerosi episodi di gravi violazioni dei diritti dei credenti in questa repubblica”.
Per ammissione dell’autore dello studio, il lavoro non può pretendere di essere esaurientemente obbiettivo: “Non ci è riuscito parlare con i veri membri dell’organizzazione segreta, – dice con rimpianto Aleksandr Žukov. – I nostri interlocutori sono stati fondamentalmente i semplici membri del jama’at, che non erano in possesso di informazioni sui piani dei capi (gli amir [4]) della comunità. Abbiamo parlato anche con quegli ex membri che adesso lavorano nell’Amministrazione spirituale dei musulmani (l’organizzazione religiosa ufficiale della Repubblica di Kabardino-Balkaria – nota dell’autore)”.
Ciò non di meno questo studio è il primo tentativo di sistematizzare la cronaca della “guerra non dichiarata” degli uomini delle forze armate della Repubblica di Kabardino-Balkaria contro chi prega. Omicidi, torture, sparizioni di persone. Le cosiddette liste di wahhabiti [5], le perquisizioni senza mandato, gli arresti, anche di donne.
“E oggi, nonostante tutte le rassicurazioni, le autorità non vogliono andare a dialogare con i credenti. Di questo testimonia anche il solo fatto che fino al 2004 a Nal’čik erano attive sei moschee di quartiere, ma adesso ne sono aperte solo due, le autorità ostacolano il ritorno all’attività di quelle distrutte”, – ha detto Aleksandr Žukov.
Insieme all’autore del rapporto hanno condiviso la propria visione della situazione i collaboratori di “Memoriale” Aleksandr Čerkasov e Oleg Orlov.
“Sotto processo andranno 57 persone – a febbraio uno degli imputati, Valerij Bolov, è morto in ospedale, – ha detto Aleksandr Čerkasov. – Ci sono prove di torture compiute sugli imputati. L’ultimo caso è avvenuto a giugno, quando l’imputato Azamat Achkubekov è stato portato all’ospedale della prigione in condizioni critiche. I medici hanno constatato in lui una lesione ad un polmone. L’amministrazione del SIZO [6] non permette di condurre un esame clinico indipendente, delle molte denunce la procura non ne ha prese in esame neanche una”.
Da febbraio gli imputati non hanno la possibilità di tenere contatti con i propri accusati in modo normale. Agli avvocati difensori non viene semplicemente permesso di entrare nel SIZO e nell’aula di tribunale la scorta impedisce la comunicazione.
“Con tali metodi le autorità giudiziarie non otterranno la verità nel processo. La protesta tra la popolazione crescerà. Di conseguenza otterremo un’altra Inguscezia”, – ha notato Oleg Orlov.

Irina Gordienko
13.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/76/12.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Capitale della repubblica di Kabardino-Balkaria, che fu attaccata da terroristi nell’ottobre 2005.
[2] “Memoriale”, associazione nata per difendere la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche e tuttora attiva nella difesa dei diritti umani.
[3] “Gruppo” (ma il termine è usato spesso nel senso di “gruppo islamista”).
[4] Amir (da cui “emiro”) significa originariamente “capo militare”.
[5] I wahhabiti sono di per se i seguaci di una corrente di pensiero fondamentalista, ma in Russia “wahhabita” è diventato sinonimo di terrorista islamico.
[6] Sledstvennyj IZOljator (Carcere per la Detenzione Preventiva).

A proposito di informazione in Russia (II)

Lavorano senza indirizzo [1]


La commissione inquirente si è rifiutata per l’ennesima volta di cercare i mandanti dell’omicidio del giornalista della “Novaja gazeta” Igor’ Domnikov


Igor’ fu ucciso 8 anni fa. Nell’ingresso dell’abitazione. Gli omicidi, membri della banda di Tagir’janov che hanno eseguito il loro compito, sono stati condannati. Il mandante e il mediatore no. Alla “Novaja gazeta” sono noti i cognomi delle persone, che hanno preso parte all’omicidio di Igor’: l’imprenditore moscovita e amico degli uomini di Tagir’janov Pavel Sopot e l’ex vice governatore della regione di Lipeck [2], adesso macellaio Dorovskoj.
Ma né la procura del Tatarstan [3], né in seguito la commissione inquirente della procura di questa repubblica, a cui, dopo le nostre incessanti richieste, fu affidato personalmente dal capo della SK [4] della Russia Aleksandr Bastyrkin l’incarico di condurre una verifica, non hanno avviato un procedimento penale nei confronti di queste persone.
Abbiamo scritto di nuovo, in quanto la verifica fu condotta pro forma – Sopot e Dorovskoj non sono stati neanche interrogati – e abbiamo chiesto che il procedimento non sia trasmesso in Tatarstan, ma a Mosca dove fu compiuto il delitto. Noi e l’avvocato della parte lesa Stanislav Markelov siamo stati a malapena ascoltati. I documenti sono stati studiati dalla Commissione Inquirente della procura del CFO [5]. Da là ci hanno perfino telefonato qualche volta…
Di conseguenza ha visto la luce un documento: “si delibera di rifiutare di avviare un procedimento penale (…) per via dell’assenza nell’operato di Dorovskoj S.B. e Sopot P.K. di indizi dei suddetti crimini”.
Come dire che il vice governatore, che chiese a Sopot, che si occupava allora di riscossione di debiti, di trovare persone che potessero sistemare il giornalista e Sopot, che trovò tali persone nell’OPG [6] di Tagir’janov, non hanno commesso alcun crimine.
Tra l’altro, non è affatto chiaro in che modo abbia fatto tale scoperta il consigliere giudiziario V.V. Jaremenko. Non solo non ha interrogato tutte le persone incriminate e i testimoni, ma ha perfino inviato la sua risposta all’indirizzo sbagliato: per qualche motivo la missiva è giunta a casa del direttore della “Novaja gazeta” e ad un avvocato, che già da un anno non si occupa più del caso.
Dalle dichiarazioni alla Commissione Inquirente della Procura della Federazione Russa del rappresentante della parte lesa Stanislav Markelov: “Questo fatto indica che la Commissione Inquirente ha analizzato pro forma i documenti sul crimine, non ha esaminato i fatti in essa esposti e non ha neanche saputo stabilire chi li abbia scritti. (…) Non sono neanche state addotte motivazioni di qualche tipo (per tale decisione – nota del redattore). Il testo della delibera di rifiuto di avviare un procedimento penale non è stato affatto presentato alla parte lesa (…) il carattere palese delle violazioni che si è permessa da modo di supporre, che la Commissione Inquirente non sia guidata dal desiderio di esaminare tali documenti nella loro sostanza, ma da quello di sottrarsi consapevolmente all’esame delle circostanza in essi esposte”.
A questo resta da aggiungere solo una cosa: nessun mandante dell’omicidio di un giornalista russo è mai stato individuato e condannato. Probabilmente anche la parte lesa – i familiari e i colleghi delle persone uccise – si rivolge all’indirizzo sbagliato.


“Novaja gazeta”
09.10.2008, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/75/11.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)




[1] L’espressione ne po adresu può significare “all’indirizzo sbagliato”, ma anche “indirizzandosi male”, “volgendosi dalla parte sbagliata”.
[2] Russia meridionale.
[3] Repubblica autonoma della Russia centro-orientale, popolata in maggioranza da tatari.
[4] Sledstvennyj Komitet (Commissione Inquirente).
[5] Central’nyj Federal’nyj Okrug (Distretto Federale Centrale), uno dei sette distretti in cui Putin ha diviso la Federazione Russa.
[6] Organizovannaja Prestupnaja Gruppa (Gruppo Criminale Organizzato), nel nostro linguaggio giuridico “associazione a delinquere”.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/gli-omicidi-dei-giornalisti-russi-non.html

13 ottobre 2008

A proposito di Anna Politkovskaja (VI)

La collaborazione dei servizi segreti all’omicidio

Alcune domande, a cui dovrà rispondere la futura inchiesta

Come è già stato dichiarato più di una volta, la maggior parte del fascicolo sull’omicidio della corrispondente della “Novaja gazeta” Anna Politkovskaja è stata inserita in un articolo a se stante. Questa parte riguarda il killer, il mandante (i mandanti), i finanziatori, gli intermediari e gli altri complici del delitto.

In tutto questo tempo la redazione ha condotto una propria indagine giornalistica, grazie alla quale si è accumulata una certa quantità di domande per le forze dell’ordine e i servizi segreti. Senza una risposta a queste il quadro dell’omicidio di Anna Politkovskaja non può essere completo. Eccone alcune.

Chi pedinava la giornalista oltre all’omicida?

Dalle nostre fonti nell’FSB [1] della Federazione Russa (ma di questo c’è anche una serie di conferme) abbiamo saputo che a partire dall’estate del 2006 nei confronti di Anna Politkovskaja era stato messo in atto un intero complesso di operativno-razysknye meroprijatija (ORM) [2]. L’intero complesso, insieme alla raccolta di dati utili, prevede anche il cosiddetto pedinamento al quadrato per un periodo fino a 180 giorni. Le ORM furono condotte da agenti dell’FSB. Sulla base di cosa gli agenti dell’FSB scoprirono l’indirizzo di casa della giornalista, ascoltarono le sue telefonate e la pedinarono? Da quando a quando pedinarono la Politkovskaja? E’ vero che i pedinatori ufficiali individuarono i criminali che seguivano Anna, dopodiché ai “calpestatori” dell’FSB giunse l’ordine di togliere la sorveglianza? E’ vero che il pedinamento ufficiale ebbe luogo fino al pomeriggio del 7 ottobre 2006?

Chi ha orchestrato la fuga di notizie sul corso delle indagini?

A partire dall’agosto del 2007, non appena fu ordinato l’arresto dei sospetti, le fughe di notizie sulle indagini divennero continue. Il primo a permetterle fu il capo del Dipartimento per la sicurezza interna dell’FSB, il generale Kuprjažkin, che violò le procedure di indagine. E in risposta ad una domanda della “Novaja gazeta” l’FSB della Federazione Russa comunicò ufficialmente e cinicamente che Kuprjažkin non aveva infranto la legge, in quanto non aveva firmato l’ordine di non divulgare i segreti delle indagini. In seguito tramite i mass media furono comunicati dei fatti, che complicarono seriamente le indagini: sui sospetti – prima del loro arresto; sulla macchina ricercata – prima che venisse trovata; e infine – sul presunto luogo in cui si trovava il killer. Chi ha dato ordine a Kuprjažkin, che in precedenza non aveva mai parlato con la stampa, di divulgare informazioni sulle indagini? Chi ha dato ordine all’addetto stampa del tribunale cittadino moscovita di comunicare l’intera lista delle persone arrestate? Chi ha comunicato gli arresti al giornalista televisivo Karaulov [3] qualche giorno prima che venissero eseguiti?

Chi ha fornito i documenti al killer?

E’ noto che sul killer – presumibilmente Rustam Machmudov – pende un mandato di cattura internazionale. E’ noto che dal 1998 su Machmudov pende anche un mandato di cattura federale per sequestro di persona in quanto membro di un gruppo criminale.

Chi avrebbe potuto dare al ricercato Rustam Machmudov un passaporto valido per l’espatrio [4] con un altro nome? Perché il tenente colonnello Rjaguzov [5], agenti del quale, a quanto è noto alla “Novaja gazeta”, erano il fratello di Rustam e suo zio – Lom-Ali Gajtukaev, – non ha preso alcuna misura per ricercare il criminale?

Il killer era noto il giorno dopo?

Il giorno dopo l’omicidio, a quanto è noto alla “Novaja gazeta”, alla “hotline” dell’FSB della Federazione Russa giunse una chiamata di un abitante di Mosca, che sosteneva di aver riconosciuto il presunto killer nella registrazione della telecamera di sorveglianza esterna. Evero? E se è vero, è vero che questa informazione non fu inviata agli organi inquirenti, ma si è saputo solo dopo qualche mese?

Chi ha inviato i sabotatori?

Per tutto il tempo dell’inchiesta e delle indagini, più di una volta si è cercato di mettere su false piste anche i giornalisti della “Novaja gazeta”. I sabotatori professionisti, non interessati alla ricompensa annunciata sono almeno a una decina. Per esempio, in che modo quattro giorni dopo l’omicidio compare a Mosca, con il rischio di essere arrestato e rimandato in Ucraina un certo Litvinenko (un omonimo), che ha raccontato, rimandando a una conversazione con l’ufficiale dell’SBU [6] Mel’ničenko, di una “pista Berezovskij” nel caso? Perché nell’indagine cercano di infilarsi con le loro “deposizioni” (di cui essi stessi hanno parlato sui mass media) gli agenti segreti Lugovoj e Žarko – “testimoni” nel caso dell’avvelenamento dell’ufficiale dell’FSB Litvinenko?

Dove sono le registrazioni delle intercettazioni?

E’ noto (a quanto dice il generale Kuprjažkin) che il tenente colonnello Rjaguzov faceva parte del reparto operativo dell’USB [7] dell’FSB della Federazione Russa. Da fonti dell’SB [8] dell’Ucraina è noto alla “Novaja gazeta” che l’agente di Rjaguzov Lom-Ali Gajtukaev (uno dei leader del gruppo di “Lazan’ja” [9], zio dei Machmudov e buon conoscente di Chadžikurbanov [10]) era anch’esso sottoposto ad intercettazioni da parte dell’FSB della Federazione Russa: fino al suo arresto nell’agosto del 2006 e dopo, tra l’altro anche nell’ottobre del 2006. Dove sono le registrazioni di Rjaguzov e Gajtukaev, condannato per aver organizzato l’attentato all’imprenditore ucraino Korban, sono state trasmesse agli inquirenti? Sono stati registrati i contatti di Rjaguzov con persone indagate per il caso Politkovskaja, fra cui quelli avuti nel ristorante dell’albergo “Sverčkov, 8” (che si trova a 100 metri dall’edificio dell’UFSB, in cui lavorava Rjaguzov)? Sono stati trasmessi agli inquirenti i resoconti del reparto operativo e i documenti personali degli agenti di Rjaguzov, che, a quanto risulta alla “Novaja gazeta”, erano Gajtukaev (della sua collaborazione con i servizi segreti russi ha testimoniato egli stesso in tribunale) e uno dei fratelli Machmudov indagati? Come è finita l’inchiesta interna dell’FSB, che non poteva non tener conto del gruppo criminale stabile, di cui facevano parte Rjaguzov, Chadžikurbanov, Gajtukaev, l’ufficiale del 5° dipartimento del GUVD [11] di Mosca (addetto ai pedinamenti) Lebedev e altri? Si sono verificati, per esempio, i dati sulla possibile preparazione dell’omicidio dell’imprenditore Volkov, sui ricatti da parte dei membri di questo gruppo a uomini d’affari di Mosca fuggiti dal Caucaso, su trasferte all’estero non registrate (a quanto risulta da fonti dell’FPS [12] russo) del tenente colonnello Rjaguzov con i suoi agenti?

Chi ha sequestrato il testimone?

Nel gennaio di quest’anno nel centro di Mosca è stato sequestrato l’ex organizzatore del gruppo criminale di “Lazan’ja”, agente segreto russo, conoscente di importanti figure dell’FSB Movladi Atlangireev. Questi conosceva bene pure Gajtukaev e Chož-Achmed Nuchaev, che il capo del Dipartimento centrale di indagini della Commissione inquirente della Procura Generale Dovgij, adesso agli arresti, ha chiamato il possibile mandante dell’omicidio di Anna Politkovskaja? Perché le indagini sul sequestro di un prezioso agente segreto, che ha compiuto missioni delicate, anche fuori dai confini della Russia, dalla del tutto e per tutto Meščanskaja [13] procura di Mosca? Da prezioso agente si è trasformato in pericoloso testimone? O ai servizi segreti è noto chi lo ha sequestrato e qual è stato il suo ulteriore destino?

Materiale raccolto ed elaborato da
Sergej Sokolov

“Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/74/04.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo.

[2] “Misure Operative di Ricerca”. In pratica era seguita come un criminale.

[3] Karaul significa “guardia”. Nomen omen?

[4] In Russia non esistono carte d’identità e tutti i cittadini hanno un passaporto.

[5] Pavel Anatol’evič Rjaguzov, ufficiale dell’FSB di Mosca.

[6] Služba Bezpeki Ukraïny (Servizio di Sicurezza dell’Ucraina), il principale servizio segreto ucraino.

[7] Upravlenie Sobstvennoj Bezopasnosti (Dipartimento per la Sicurezza Interna).

[8] Služba Bezpeki (vedi nota 6).

[9] Banda criminale con molte connessioni con i servizi segreti che si riuniva nel ristorante moscovita “Lazan’ja” (Lasagna).

[10] Sergej Chadžikurbanov, ex agente della sezione “minoranze etniche” dell’antimafia russa.

[11] Glavnoe Upravlenie Vnutrennich Del (Amministrazione Centrale degli Affari Interni), in pratica la sede centrale della polizia.

[12] Federal’naja Pograničnaja Služba (Servizio Federale di Sorveglianza dei Confini), l’istituzione che controlla entrate e uscite dalla Russia.

[13] Meščanskaja significa “piccolo borghese, meschina”. La procura si chiama così perché si trova nel quartiere Meščanskij di Mosca.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/lomicidio-di-anna-
politkovskaja-i.html

A proposito di informazione in Russia

La Procura si prepara a sottoporre i mass media alla propria approvazione

Continuano i tentativi di allargare la cerchia degli estremisti

Martedì 30 settembre la Duma di Stato ha esaminato gli emendamenti presentati dalla Procura Generale ad alcune leggi riguardanti la lotta contro l’estremismo (fra cui la legge sui mass media), che ampliano i poteri di questa istituzione. Già ad ottobre le iniziative della Procura potrebbero diventare legge.

La Duma, dopo aver ascoltato il vice procuratore generale Viktor Grin’, ha obbligato i deputati Aleksandr Rozuvan, Sergej Kapkov, Arkadij Baskaev e Vladimir Stal’machov (“Russia Unita” [2]) e Evgenij Tepljakov (LDPR [3]) a preparare e presentare all’inizio di ottobre alla Duma stessa il disegno di legge “Sull’introduzione di emendamenti in alcuni atti legislativi riguardanti il perfezionamento delle azioni di lotta contro l’estremismo” [4]. La Procura Generale aveva già reso noto già in primavera un pacchetto di emendamenti desiderati. Tuttavia, poiché questa istituzione non ha diritto di iniziativa legislativa, di portare avanti la sua iniziativa si occuperanno i deputati.

Oltre all’inasprimento delle pene per incitamento all’odio o all’inimicizia e per organizzazione di associazioni estremiste previste dal Codice Penale, la Procura Generale desiderava emendare alcune altre leggi. Le proposte più curiose riguardano la regolamentazione dell’attività dei mass media e il funzionamento del segmento russo di Internet. Così, la Procura desidera introdurre nella legge “Sulla lotta contro le attività estremistiche” una disposizione sulla responsabilità per la diffusione di materiale estremistico in Internet sulla base di una dichiarazione del Procuratore nel corso della stesura di atti riguardanti violazioni amministrative. In caso di ripetuta introduzione di materiale estremistico in uno stesso sito, il tribunale potrebbe prendere la decisione di impedire l’accesso ad esso.

La Procura Generale insiste anche sul diritto degli organi di potere federali e regionali, dell’organo di registrazione e anche di alcune figure della Procura di esigere rettifiche alle redazioni dei mass media in forma extragiudiziale.

Comunque, le proposte della Procura Generale non acquisiranno per forza valore di legge. Il deputato della Duma di Stato, vice presidente della Commissione sull’informazione Boris Reznik (“Russia Unita”) ha detto che le chance di queste proposte sono nulle: “A quanto ricordo – sono in parlamento da nove anni – sono state proposte centinaia di emendamenti alla legge sui mass media e praticamente nessuna di esse è passata – la stessa Duma, il Consiglio della Federazione [5], il presidente hanno avuto molta intelligenza. Non si possono costringere i mass media a pubblicare rettifiche in forma extragiudiziale, questo è un abuso. Per quel che riguarda la regolamentazione di Internet, questa è una sciocchezza di molto tempo fa e, penso, anche queste proposte sono destinate all’insuccesso”.
Il vice presidente della Commissione Sicurezza della Duma Gennadij Gudkov (“Russia Giusta” [6]) ha dichiarato alla “Novaja gazeta” che “la legislazione russa sulla lotta contro l’estremismo dà la possibilità di un’interpretazione troppo larga. Con le sole leggi non si risolve questo problema: ci scontriamo con problemi sociali e di altro genere irrisolti, che sono terreno di coltura dell’estremismo. Bisogna preoccuparsi della qualità del lavoro delle forze dellordine. Per quel che riguarda la legge sui mass media, bisogna che i funzionari pensino a come organizzare il proprio lavoro e non a come difendere il proprio buon nome. Il problema è l’atteggiamento verso il lavoro dei vari anelli della burocrazia”.

Il’ja Kriger [7]

02.10.2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/73/10.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Tutte le assemblee legislative russe si chiamano “Duma”.

[2] Partito che ha il solo scopo di portare avanti la politica di Putin nelle assemblee legislative.

[3] Liberal’no-Demokratičeskaja Partija Rossii (Partito Liberal-Democratico Russo), ad onta del nome partito nazionalista.

[4] Le leggi russe non vengono identificate dai numeri, ma dai titoli.

[5] La “camera alta” del parlamento russo, formata dai rappresentanti dei principali soggetti della Federazione Russa (repubbliche autonome, governatorati, ecc.)

[6] Partito filogovernativo.

[7] Il’ja Borisovič Kriger, poeta e giornalista russo.


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/in-russia-la-

stampa-non-mai-abbastanza.html

A proposito di Kadyrov (XII)

Versione ufficiale delle circostanze dell’omicidio di Ruslan Jamadaev:

“All’automobile Mercedes fermatasi al segnale rosso del semaforo si è avvicinato a piedi uno sconosciuto e ha sparato a Jamadaev con una pistola. A causa delle ferite ricevute, questi è morto sul posto, – ha dichiarato il direttore dell’amministrazione delle pubbliche relazioni del ministero degli Interni russo Valerij Gribakin. – A causa degli spari è rimasto ferito un altro uomo che si trovava nella macchina. Per ricercare la macchina, sulla quale probabilmente si è nascosto il colpevole, è stato messo in atto in città il piano speciale di polizia “Perechvat” [1].

Gribakin ha comunicato anche che “considerando la risonanza di questo crimine, l’indagine è stata presa sotto il proprio controllo dal capo del dipartimento di polizia criminale del ministero degli Interni Iskander Galimov”.

“Si è verificato che Ruslan Jamadaev ha ricevuto non meno di dieci ferite da arma da fuoco, mentre Sergej Kizjun ha ricevuto sette ferite da arma da fuoco”, – ha dichiarato il rappresentante ufficiale dell’SKP [2] della Federazione Russa Vladimir Markin.

Passati due giorni l’“audace e risonante” omicidio non è stato spiegato in alcun modo, il piano “Perechvat” non ha dato risultati. Non è noto se sia stata trovata la macchina in cui si sarebbero nascosti gli assassini e se ci fosse stata questa macchina (e di quale marca fosse) in generale.

Tuttavia con i dettagli diffusi dai mass media si forma il seguente quadro dell’omicidio, che se gli inquirenti non confermano, perlomeno non smentiscono.

La macchina Mercedes di Ruslan Jamadaev era blindata.

La macchina con il killer (o i killer) seguiva quella di Jamadaev. Al semaforo l’omicida è uscito dalla macchina, si è avvicinato al finestrino del guidatore, che, secondo una versione, era semiaperto, ha sparato come minimo 10 colpi contro Jamadaev e sette contro il generale Kizjun, che sedeva al posto anteriore per il passeggero.

E’ stato comunicato anche (dal giornale “Kommersant’’” [3]) che inizialmente l’omicida avrebbe sparato una scarica contro il vetro blindato e solo dopo avrebbe colpito Jamadaev e il suo passeggero.

Il giorno dopo l’omicidio nel sito del giornale Live [4] sono stati inseriti video e fotografie della macchina, e in essa c’è Jamadaev ucciso. In queste fotografie si vede che tutti i vetri della macchina sono integri e chiusi. Anche la macchina è integra all’esterno. Di conseguenza sono sorte delle domande:

1. Come ha potuto l’omicida colpire Jamadaev e Kizjun che gli sedeva accanto, se i finestrini della macchina erano chiusi?

2. Se l’omicida ha sparato da uno sportello della macchina aperto, da quale?

(Sul corpo di Jamadaev si vede chiaramente una ferita dalla parte destra – la più vicina al passeggero – del petto, mentre la parte sinistra del corpo, la più vicina alla sportello del guidatore, e della testa sono del tutto integre. Non si vedono sul corpo neanche segni di numerose ferite. La posizione dei bossoli in zona pedonale (ne sono stati trovati in tutto 16), che sono stati ripresi nelle fotografie di Live, testimoniano che il killer ha sparato dallo sportello dal lato del posto anteriore per il passeggero della macchina, cioè dalla parte di Kizjun.)

3. Di cos’era armato il killer?

(E’ noto che i bossoli trovati sul luogo del delitto sono del calibro più diffuso – 9 mm. Secondo le informazioni fornite dagli agenti, potrebbe essere sia una mitraglietta “Kedr” [5], sia una PPS [6]. Se fosse stata una “Kedr”, allora, secondo gli esperti di balistica, 16 colpi avrebbero potuto essere esplosi in 20-25 secondi, al ritmo “scarica di 2-3 colpi – pausa”. Se si sparasse più velocemente con una “Kedr”, la canna devierebbe a destra e in alto e il killer cadrebbe di fianco.)

Se, come dicono, il killer era un professionista, com’è avvenuto che un testimone – il generale Kizjun – è rimasto in vita?

4. Perché il killer non ha sparato alla testa né a Jamadaev né a Kizjun?

(Il generale Kizjun ha ricevuto alcune ferite da arma da fuoco e, secondo le notizie ufficiali, è stato portato all’ospedale Botkin (nella zona della fermata “Dinamo” della metropolitana [7]). Tuttavia l’ospedale Sklifosovskij (zona della fermata “Sucharevskaja” [8]), dove di solito vengono portati i feriti da arma da fuoco, è molto più vicino [9]).

5. Dov’è stato ferito e quante ferite ha comunque ricevuto il generale Kizjun?

(Un alto esponente del ministero degli Interni, che è stato sul luogo del delitto, ha raccontato alla “Novaja gazeta”, che nel rapporto sull’esame del luogo del delitto, steso quella sera dagli uomini della MUR [10], era indicato, che il generale Kizjun era stato leggermente ferito. Letteralmente dopo un giorno comunicavano già ufficialmente che il generale Kizjun stava “decisamente meglio”).

6. Perché le indagini sono state tolte al dipartimento per la lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo del ministero degli Interni della Federazione Russa?

(E’ un caso senza precedenti, poiché tutti gli omicidi etnici [11] su commissione sono affare di questo dipartimento. Un po’ più tardi l’omicidio di Jamadaev è stato tolto anche alla MUR. Di conseguenza le operazioni vengono condotte dal dipartimento di polizia criminale del ministero degli Interni della Federazione Russa, del quale si dice che vi lavorino “persone con una fine comprensione del momento corrente e dei bisogni dei servizi segreti”).

Il generale Kizjun era un vecchio amico di Jamadaev, negli anni ‘90 formarono insieme il battaglione “Vostok” – un sottoreparto della GRU [13].

7. Il generale Kizjun è un agente della GRU – uno dei più minacciosi servizi segreti del paese?

(Secondo informazioni ricevute da fonti operative, tutti i finestrini della macchina di Jamadaev erano chiusi. Secondo la versione sostenuta non ufficialmente dalle nostre fonti nel ministero degli Interni e nell’FSB [14], non è escluso che “l’omicidio di Jamadaev sia stato organizzato dai servizi segreti, forse per ordine di Kadyrov. Tecnicamente avrebbero potuto fare così: Kizjun ha aperto lo sportello, dal quale è stato ucciso Ruslan Jamadaev, poi Kizjun è stato ferito ed è stato nascosto”).

Dossier della “Novaja gazeta”

Sergej Nikolaevič Kizjun è nato il 17 aprile 1956 nella città di Luck (Ucraina). Ha finito gli studi all’istituto militare “Suvorov” di Minsk nel 1973, quelli alla scuola ufficiali di Kiev nel 1977, quelli all’accademia militare “M.V. Frunze” nel 1987, quelli all’accademia militare dello Stato Maggiore delle forze armata della Federazione Russa nel 1998. Ha servito nelle truppe del distretto militare bielorusso, nel gruppo delle truppe sovietiche in Germania, nei distretti militari dell’estremo oriente [15], di Mosca e del Caucaso settentrionale. Nel 2001 è stato nominato comandante delle forze in campo in Cecenia. Dal settembre 2001 Ruslan e Sulim Jamadaev divengono suoi vice. Proprio Kizjun nell’agosto 2002 propose a Ruslan Jamadaev di prendere le redini del comitato esecutivo regionale ceceno di “Russia Unita” [16]. Nel 2002 con i sostenitori del clan degli Jamadaev grazie all’attiva mediazione di Kizjun fu formato un reparto speciale del comando militare della Repubblica Cecena, entrato poi a far parte del raggruppamento di montagna del ministero della Difesa russo. A novembre dello stesso anno il reparto fu trasformato nel battaglione “Vostok”. Ufficialmente il “Vostok” entrò a far parte della 42.a divisione di fanteria motorizzata dell’esercito russo. In realtà era sottoposto al GRU dello Stato Maggiore del ministero della Difesa della Federazione Russa. Nel marzo 2005 Sergej Kizjun fu nominato capo del quartier generale e primo vice comandante delle truppe del distretto militare di Leningrado [17]. All’inizio del 2008 è stato congedato con il grado di generale di brigata. E’ stato decorato con un ordine e varie medaglie.

Elena Kostjučenko
Elena Milašina

29/9/2008, “Novaja gazeta”, http://www.novayagazeta.ru/data/2008/72/00.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] “Cattura”.

[2] Sledstvennyj Komitet pri Prokurature (Commissione Investigativa della Procura).

[3] “Uomo d’affari”, giornale economico russo.

[4] Presumibilmente la piattaforma blog “Livejournal”.

[5] “Cedro”, arma di fabbricazione russa.

[6] Pistolet-Pulemët Sudaeva (Mitraglietta – letteralmente “Pistola-Mitragliatrice” – di marca Sudaev).

[7] A Mosca si identificano i luoghi indicando la fermata del metrò più vicina. Qui si tratta della zona nord-orientale, in posizione abbastanza periferica, presso lo stadio della Dinamo.

[8] Nella parte settentrionale di Mosca, ma ben più vicino al centro.

[9] In effetti l’omicidio è avvenuto in una strada che costeggia la Moscova, nel centro di Mosca.

[10] Moskovskij Ugolovnyj Rozysk (Polizia Criminale di Mosca).

[11] Cioè che hanno a che fare con i “non russi”.

[12] Oriente.

[13] Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie (Amministrazione Centrale dell’Intelligence).

[14] Federal’naja Služba Bezopasnosti (Servizio Federale di Sicurezza), il principale servizio segreto russo.

[15] Cioè della estremità orientale dell’Unione Sovietica.

[16] Partito che ha il solo scopo di portare avanti la politica di Putin in parlamento e in tutte le assemblee legislative della Federazione Russa.

[17] Curiosamente, anche se Leningrado è tornata ad essere San Pietroburgo da molti anni, tutto ciò che le compete è rimasto ufficialmente “leningradese”…


http://matteobloggato.blogspot.com/2008/10/lomicidio-jamadaev

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